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La primavera dell’identità bit

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La primavera dell’identità bit

  • –Alessandro Longo

Ad aprile 2015 ci saranno i primi cittadini dotati di identità digitale pubblica. Diventeranno 10 milioni entro il 2016. Lo Spid (Sistema pubblico identità digitale) sta per entrare quindi nella fase del confronto con la realtà. Ed è una fase delicata per tutto il sistema dell’innovazione, perché l’Italia ha scelto di puntare sull’identità digitale come prima leva per la digitalizzazione di massa. «Lo Spid aiuterà a semplificare l’uso di servizi digitali pubblici e privati. In questo modo, potrà fare da trampolino per avvicinare gli italiani al digitale», dice Alessandra Poggiani, a capo dell’Agenzia per l’Italia digitale.

Era anche la visione di Francesco Caio, che aveva preso le redini della strategia sull’Agenda digitale sotto il governo Letta. Caio aveva individuato tre priorità per uscire dall’impasse: la fatturazione elettronica, l’Anagrafe unica e appunto lo Spid.

La prima è il trampolino per digitalizzare le aziende, mentre le altre due priorità– complementari tra loro – guardano alla popolazione. La sola novità già funzionante (da giugno 2014) è la fattura che completerà il percorso il 31 marzo, quando diventerà obbligatoria anche verso le Pa locali. Lo Spid ha ricevuto a dicembre le prime regole attuative, mentre per l’Anagrafe il passo è avvenuto a gennaio. La svolta sta quindi prendendo forma proprio in queste settimane. Le norme prevedono che entro il 2015 si completerà la transizione dalle migliaia di anagrafi comunali a quella unica, centralizzata, con i dati della popolazione residente.

L’obiettivo generale è ricondurre a sistema ciò che è sempre stato caotico. E così porre le basi per uno Stato, una popolazione, un sistema economico moderni grazie al digitale.

Ma è proprio nella fase del varo che tocca confrontarsi con i rischi. Nel caso dello Spid, l’incognita principale è se le aziende private lo adotteranno con entusiasmo, nel ruolo di fornitori di servizi o di identità al cittadino. «Le pubbliche amministrazioni dovranno rendere tutti i propri servizi accessibili via Spid entro 24 mesi. Ma il successo ultimo dipende dalla risposta dei privati», dice Poggiani.

Vediamo infatti come funzionerà lo Spid. L’utente potrà ottenere l’identità in tre modi. Di persona (con documento normale), via internet (accedendo con un documento evoluto come la Carta nazionale dei servizi) e persino con una chat audiovideo. Il tutto, presso un “identity provider” accreditato nell’Agenzia (a oggi sono già pronti Poste Italiane, Telecom Italia e Infocert). Il cittadino avrà, di base, una password “Spid” associata alla propria anagrafica per accedere a tutti i servizi della pubblica amministrazione e a quelli delle aziende private che sposeranno il sistema. Troveremo un pulsante “Spid” su vari siti. Con un clic, potremo indicare il nostro identity provider e quindi autenticarci.

Per usare servizi più delicati (per vedere i risultati dei nostri esami medici, ad esempio), la normativa prevede un secondo livello di sicurezza. Potrà essere una ulteriore password che arriverà all’utente via sms o con un app su smartphone. La legge impone agli identity provider di fornire gratis il livello base; quelli ulteriori potrebbero invece essere a pagamento, per i cittadini. Lo Stato invece non deve sborsare un centesimo: è una innovazione a costo zero. Questo può rivelarsi un primo punto critico. La stessa Telecom Italia, pur aderendo a Spid, ha espresso perplessità sulla sostenibilità del servizio per chi lo offre. Di converso, c’è chi protesta per essere stato escluso dalle nuove opportunità: le Pmi dell’Ict. Assintel e Assoprovider questa settimana hanno fatto ricorso al Tar contro le norme attuative dello Spid, perché bisogna avere un capitale sociale di 5 milioni di euro per diventare identity provider. Il ricorso apre un’incognita: potrebbe ritardare l’entrata in vigore dello Spid.

Un’altra variabile imprevedibile è quanto lo Spid attecchirà tra i servizi. È probabile che i primi saranno degli enti che partecipano al programma pilota, in corso presso l’Agenzia: Inps, Inail, le Regioni Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Marche; i Comuni di Firenze, Lecce e Milano. «Spero che le banche aderiranno a Spid entro l’anno», dice Poggiani.

È in fondo ottimista Ernesto Belisario, avvocato tra i massimi esperti di Agenda digitale: «Non prevedo ritardi sui singoli progetti, come lo Spid e l’Anagrafe. Ormai il quadro delle regole è chiaro, le risorse ci sono (sono quelle europee e nazionali del piano Crescita digitale, ndr). Pure la governance del digitale in Italia sta trovando una sistemazione». Quella governance che, ancora a ottobre, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio aveva definito “da manicomio”. «Sono due, invece, le mie preoccupazioni», aggiunge Belisario. «La prima: che le risorse siano usate bene. Per esempio, è indubbio che i Comuni hanno bisogno di aiuto per migrare all'Anagrafe unica. La seconda: che ci sia un buon coordinamento Stato-Regioni. Bisogna così evitare che l’autonomia degli enti ostacoli l’opera di standardizzazione e centralizzazione che è cardine nell’Agenda digitale».

Si gioca su questi punti la partita che l’Italia dovrà ben impostare nel 2015, affinché, negli anni successivi, i cittadini possano coglierne i frutti.

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