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Questo articolo è stato pubblicato il 21 gennaio 2012 alle ore 10:48.

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Gli scienziati italiani e l'Enea vogliono continuare a investire nel nucleare pulito e hanno già pronto il progetto per farlo. In due giorni di incontri a Frascati tutti i ricercatori coinvolti nei progetti di fusione nucleare del nostro Paese, da quelli dell'Enea ai centri universitari, hanno discusso la realizzazione del nuovo reattore Fast e sono usciti tutti convinti che sia la strada giusta. Per mantenere l'Italia all'avanguardia in questo campo. Non è solo una questione di prestigio o di eccellenza scientifica, c'è anche un aspetto molto più concreto di investimenti internazionali che possono confluire verso le imprese italiane, come è già avvenuto in questi anni.

La fusione nucleare è un po' il sogno dei fisici impegnati nell'energia. Se si riesce a fare in modo che atomi leggeri si uniscano a formare atomi più pesanti si ottiene il processo che avviene nelle stelle e che produce enormi quantità di energia senza produrre scorie radioattive come avviene invece nella fissione nucleare, quella che spezza atomi pesanti come nelle bombe e nelle centrali che sono in funzione oggi. Il problema è che la fusione, proprio perché è una reazione così potente, è difficile da innescare e controllare. Servono reattori che spingano gli atomi a condizioni limite, portandoli ad essere così vicini da fondersi.

Per ora esistono solo impianti sperimentali, uno dei quali a Frascati, dove dovrebbe trovare posto anche Fast. Ma c'è anche un grande progetto internazionale già in costruzione: si chiama Iter ed è il frutto della collaborazione tra Paesi europei, Stati Uniti, Cina, India, Giappone, insomma la maggior parte delle economie avanzate e dei Paesi che oggi trainano l'economia mondiale. Iter servirà a provare definitivamente che la fusione controllata dall'uomo è possibile e produce più energia di quella necessaria per innescare e far funzionare il processo. Ma anche questo impianto non darà energia al mondo: bisognerà aspettarne uno ancora più grande e costoso (Iter, dopo varie revisioni dei preventivi, arriverà a toccare i 10 miliardi di euro), chiamato Demo, che potrebbe essere pronto per il 2050. Quasi quarant'anni da oggi, però a quel punto i problemi energetici del pianeta sarebbero davvero definitivamente risolti.

Ma se già Iter è in costruzione, allora che bisogno c'è del progetto Fast? «Serve a due cose. Come supporto a Iter, per affrontare in un impianto più piccolo tutti i problemi che potrebbero sorgere in quello è più grande. E poi serve per mantenere e rafforzare l'eccellenza italiana in questo campo. Per Iter le aziende italiane hanno ottenuto oltre 500 milioni di commesse su poco più di un miliardo di euro di opere già finanziate. E saranno italiane le parti principali dell'opera, come il grande magnete che deve confinare il plasma e la camera in cui il plasma viene chiuso», racconta Aldo Pizzuto, dell'Enea, responsabile del Progetto Fusione per l'Italia. «È fondamentale avere un impianto dove formare i nostri giovani ricercatori. E Fast non è solo un'idea, è già un progetto definito e studiato», aggiunge Giuseppe Mazzitelli, responsabile del Laboratorio gestione grandi impianti sperimentali dell'Enea a Frascati e presidente di Frascati Scienza.

Quello che manca, però, è l'impegno economico. In un periodo di grandi sacrifici e risparmi non sembra facile riuscire a convincere il governo a lanciare un progetto da 300-350 milioni di euro che dovrebbero venire tutti o quasi dallo Stato. «Certo, è una cifra grossa, ma il 40% dovrebbe arrivare da finanziamenti europei e quindi si tratta di poco più di 20 milioni all'anno per otto o nove anni. A parte la ricaduta scientifica, rispetto ai 600 milioni di commesse ottenuti dall'Italia per Iter risulta comunque un buon investimento per continuare ad essere noi all'avanguardia», commenta Mazzitelli.

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