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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2014 alle ore 08:43.

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Si è chiuso l'anno con un microcosmo dedicato al popolo del non più che non ce la fa più, con cahiers de doléance indirizzati al palazzo. Diventati scenario socio-politico nel messaggio del presidente della Repubblica. Val la pena iniziare l'anno con tre microstorie di contaminazione tra il non più e il non ancora. Tre esempi di ritorno nei territori dell'abbandono, dello spaesamento, immettendovi saperi, progetti, visioni di un futuro possibile, partendo dal margine che si fa centro. In grande, a ben vedere, è quello che necessita al paese per ritrovare voglia di futuro.
Tornando al micro, alludo all'esperienza di un cantastorie, Davide Van de Sfroos, a quella di un noto politologo come Marco Revelli e a quella di un padre nobile dei geografi italiani Giuseppe De Matteis. Cosa tiene assieme un cantautore del lago di Como, all'inizio in odore di leghismo perché cantava lumbard, con il teorico radicale del conflitto tra capitale e lavoro ai bordi del vulcano Fiat, e con il raffinato teorico del milieu socioterritoriale nell'ipermodarnità che avanza tra flussi e luoghi? Il ritorno al territorio, l'attenzione al non più e a quelli che non ce la fanno più, al mondo dei vinti, al margine da cui ripartire. Riportando lì, con microprogetti locali, creatività e poetica acquisita nella società dello spettacolo, nell'Università e nell'analisi politica delle classi, e nello studio dei sistemi territoriali. Poteva anche non tornare il Bernasconi Davide a Mezzegra, da cui era partito giovane cantautore in dialetto locale, che qualcuno voleva lingua. Mettendo assieme, come dice lui, il cyber e il folk. Aveva cantato, dando identità a quei paesani raggiunti solo dall'arrancare della corriera, su oltre il lago, vicino al confine ove resisteva l'ultimo mito del contrabbando, come storia di una frontiera oggi diluita nella globalizzazione.
Poteva continuare ad andare oltre: Sanremo, il Premio Tenco e il Corriere della Sera che aveva allegato al giornale i suoi cd. La società dello spettacolo non presuppone il tornare, ma solo la dittatura del continuare ad andare per galleggiare sull'acqua del successo. Non il tornare all'acqua del lago, con un viaggio dolce da antropologo del territorio, producendo una guida tra "Terra e Acqua" di quindici comuni, fatta di musica, poesia, tradizione, gastronomia, arte, storia e natura. Forse lui non lo sa ma, con lo stile di Marc Augé etnologo nel metro, ha raccontato paese per paese, microstorie di mestieri, paesaggi, vite di sopravvissuti alla Belle Epoque dei grandi alberghi, oggi diventate il lake distrcit di Gorge Clooney, e il meeting globale di Villa d'Este a Cernobbio, per cui noi oggi conosciamo il lago di Como. Con Terra e Acqua, raccontando i paesi che stanno dietro le quinte Davide ha scritto un manuale di turismo lento e di sviluppo locale, come va facendo da anni Carlin Petrini nelle Langhe.
Poteva non tornare a Paralup anche Marco Revelli. Figlio di Nuto, il grande scrittore del mondo dei vinti, aveva ben onorato la memoria del padre diventando un intellettuale di riferimento per la sinistra, scavando con i suoi libri nella crisi della politica, sino al suo ultimo "Finale di partito". Di solito il destino degli intellettuali è, prima o poi, un seggio senatoriale. Non tornare a cercare «il popolo che non c'è più» con la Fondazione Nuto Revelli a Paralup, dove suo padre aveva fatto il partigiano. Tornare a Paralup con i sindaci dei comuni polvere, della provincia Granda, cercando di rianimare quella montagna da cui si è scesi a valle per andare alla Michelin o alla Fiat, o cercando il capitalismo molecolare nei capannoni del fondovalle. Si cerca di ristrutturare quel borgo abbandonato con manutenzione eco-compatibile, rispettosa del linguaggio dei ruderi dei paesi abbandonanti. Facendoci anche un piccolo rifugio per i tanti che, per fortuna, anche loro con il turismo lento, stanno di nuovo risalendo i sentieri abbandonati dai vinti. E così lui, intellettuale della Torino fordista, si è trovato nelle pastoie burocratiche e legislative di chi vuole aprire una microimpresa come un rifugio con alloggio e cucina in alta montagna. Sarà per questo che anche lui, come me, non è stato impietoso con la protesta dei forconi. Si torna ma non si dimenticano le passioni, infatti ogni anno la fondazione organizza a Cuneo una scuola per la buona politica e un concorso per scrittori migranti, nuovi cittadini che si sperimentano con la nostra lingua.
Poteva sentirsi appagato anche il grande accademico De Matteis. Andare in pensione mantenendo un ruolo come professore emerito e dispensare di convegno in convegno il saper acquisito, o dedicandosi solo alla consulenza ministeriale con Fabrizio Barca sulla coesione territoriale. Ha fondato anni fa un centro studi militante denominato Dislivelli, sul tema del rapporto mai risolto, tra le terre alte, la montagna, e le terre basse della pianura e della città. Interrogandosi con la sperimentazione territoriale, se fosse possibile estendere e aggiungere all'adagio braudeliano città ricca-campagna florida, quello di montagna viva e non abbandonata.
Quindi, come sostengo da tempo, non è più periferia o margine, ma centro. Anche se vissuta da chi la abita come un'area "triste". Infatti anche se la geoeconomia ricolloca al centro un territorio, tutto questo non basta se chi lo abita si sente spaesato e vive la modernità che lo attraversa con anomia. È una bella botta di speranza l'ultimo lavoro curato da De Matteis "I nuovi montanari. Abitare le Alpi nel XXI secolo" (F. Angeli). Viene descritta una nuova composizione sociale di "montanari per scelta", che con coscienza di luogo del nuovo spazio di posizione delle terre alte e con cultura del territorio e del fare impresa nella green economy rianimano alpeggi, turismo lento, boschi, agricoltura...

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