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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2013 alle ore 08:44.
L'ultima modifica è del 13 ottobre 2013 alle ore 13:31.

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Il primo ministro libico Ali Zeidan. (Afp)Il primo ministro libico Ali Zeidan. (Afp)

Il premier libico Ali Zeidan, prelevato questa mattina in un hotel di Tripoli da un commando armato, è stato liberato: lo ha annunciato un ministro del suo governo.

Il rapimento del primo ministro è stata probabilmente la risposta di gruppi armati degli ex ribelli al sequestro sabato scorso a Tripoli da parte delle forze speciali americane di Abu Anas al Libbi, membro di Al Qaeda ritenuto reponsabile degli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998. Questa operazione, preceduta dal sequestro a Bengasi di Al Khattala, considerato tra i possibili leader del commando che nella capitale della Cirenaica uccise l'ambasciatore Chris Stevens nel settembre 2012, ha messo Zeidan con le spalle al muro.

Stamane è stata diffusa una foto del premier in maniche di camicia sotto custodia di due uomini in borghese, esponenti con ogni probabilità di qualche milizia. Vedremo se nelle prossime ore seguiranno altri eventi che potrebbero portare a una sorta di golpe o se si tratta di un'azione intimidatoria di breve durata.
Il Governo libico aveva formalmente protestato con Washington, ma l'opinione della maggioranza del Parlamento e delle fazioni armate è che Zeidan sapesse del sequestro Al Libbi e non avesse fatto nulla per impedire l'operazione delle forze speciali americane, realizzata a quanto pare con il contributo della milizia di Zintan. In questi giorni il Parlamento, fatto assai inusuale, ha chiamato a deporre la moglie di Al Libbi mentre è stata messa sotto accusa tutta la politica del primo ministro verso l'Occidente.

La versione degli oppositori di Zeidan è che sono gli Stati Uniti e l'Europa a tenere artificialmente in vita questo governo e a incoraggiare i piani di addestramento militare all'estero per mettere sotto controllo la Libia.
Ma la situazione è ben diversa: nessuno, né dentro né fuori, controlla questo Paese, costantemente nell'anarchia e sull'orlo del baratro, come dimostrano i recenti omicidi politici, gli attacchi alle ambasciate e l'interruzione delle forniture di gas e petrolio per le lotte intestine tra le milizie.

L'Italia, che ha inviato a Tripoli nei giorni scorsi anche il segretario generale della Farnesina Michele Valensise, sta monitorando con attenzione quanto accade nel Paese ma appare sempre più urgente un intervento internazionale anche perché la missione Onu per la stabilizzazione delle frontiere è sostanzialmente un fallimento.
La Libia di oggi, come dimostrano anche le ondate migratorie di clandestini dalle sue coste, è un esempio di stato che esiste soltanto sulla carta, senza polizia né esercito, una sorta di entità semi-fallita dal punto di vista politico che nessuno controlla, in mano a milizie armate e gruppi criminali.

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