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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2014 alle ore 06:41.

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Voluntary disclosure = rimpatrio forzato dei capitali e abbandono delle piazze-rifugio storiche? Non è del tutto vero, almeno guardando i dati sorprendenti della Germania sulla campagna di "rientro volontario". Dati ufficiosi e comunque attendibili di Ubs – uno dei principali gruppi svizzeri - raccontano che il volume dei depositi di contribuenti tedeschi prima dell'avvio del programma di svelamento fiscale di Berlino ammontava a 120 miliardi di euro, proprietà di 20mila cittadini sulla sponda nord del lago di Costanza. Alla fine della disclosure il "gestito" da Ubs non solo non è sceso, ma è addirittura aumentato di più del 16,5%, arrivando a sfiorare i 140 miliardi. Questo perchè, spiegano gli analisti, la voluntary non solo non comporta il rimpatrio fisico dei capitali, ma invece e piuttosto "libera" il risparmiatore dal vincolo e dalle preoccupazioni del "nero" e gli fa preferire un'allocazione fondata su scelte di stabilità e sicurezza, al riparo – almeno così spera - da future iniziative fiscali e rischi di default in patria. Il problema del mantenimento dei depositi all'estero, che si sta ponendo anche per i primi pionieri italiani della voluntary disclosure, è piuttosto negli adempimenti correlati, considerato che il contribuente dovrà assemblare ogni anno nel quadro RW di Unico i dati di diversi gestori e di diverse gestioni patrimoniali. A meno che decida di appoggiarsi a intermediari che, questa volta a carte tutte svelate, facciano da sostituto d'imposta per il fisco italiano.
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