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Questo articolo è stato pubblicato il 11 novembre 2014 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 11 novembre 2014 alle ore 08:49.
«La mia vita da industriale è stata piena. Anzi pienissima. Ho salvato l'Olivetti nel 1978, l'ho portata al successo internazionale negli anni Ottanta con l'informatica e l'ho fatta sopravvivere negli anni Novanta, unico caso delle imprese elettroniche europee, attraverso la metamorfosi nella telefonia con il grande successo di Omnitel. Ho fatto, come tutti, degli errori. Ma la dimensione da imprenditore industriale, per me, resta davvero essenziale».
È un Carlo De Benedetti che ha voglia di raccontarsi, quello che ha partecipato ieri sera in Bocconi alla presentazione del libro di Paolo Bricco “L'Olivetti dell'Ingegnere (1978-1996)” (Il Mulino, pagg. 426, 20 euro). Insieme a lui e all'autore del libro, c'erano il rettore Andrea Sironi, lo storico Giuseppe Berta e il premio Nobel per l'economia Michael Spence. Tutti a interrogarsi sul profilo dell'imprenditore e sulla natura di una impresa, l'Olivetti, che ha segnato il Novecento industriale italiano e internazionale. In platea, oltre al figlio Rodolfo, alla moglie Silvia Monti e a molti “olivettiani”, c'erano fra gli altri Gianluigi Gabetti, Gabriele Galateri di Genola, Victor Uckmar, l'imprenditore high tech Adriano De Luca e l'ex vicepresidente di Confindustria Enzo Boccia.
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