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Le promesse tradite del «10%»

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vent’anni dopo

Le promesse tradite del «10%»

Giusto vent’anni fa, nel gennaio del 1996, debuttava formalmente la Gestione separata Inps. Formalmente, però, perché le polemiche, le correzioni, i ricorsi giudiziari consentirono il via libera operativo soltanto tra aprile e giugno di quell’anno. Solo allora prese finalmente corpo, con i primi versamenti fissati all’aliquota del 10%, quel che era stato scritto nell’agosto precedente, nella riforma delle pensioni varata dal Governo di tecnici guidato da Lamberto Dini.

Le premesse e le promesse della novità erano, di fatto, due: dare “una previdenza a chi non ce l’ha” e fornire un abbozzo di inquadramento giuridico alla particolare e composita categoria di quel lavoro autonomo che, ai tempi, si definiva “minore”. Vent’anni più tardi, tocca constatare che non si è riusciti a mantenere né le une né le altre. E, dopo plurimi ritocchi all’aliquota (oggi sta il 27 e il 31%, secondo la qualifica dell’iscritto) e diverse riforme e correzioni di rotta, il tracciato del Jobs act sembra quasi voler tornare al punto di partenza: proponendosi - come già è stato tentato in passato - di contrastare e ridurre gli usi troppo frequenti o scorretti di collaborazioni e partite Iva e, al tempo stesso, di incentivare (anche con le disposizioni delle leggi di Stabilità, quella per il 2015 e quella per il 2016) il ricorso ai contratti a tempo indeterminato. In sostanza, il collaboratore dovrebbe tornare a essere una categoria residuale, mentre le partite Iva dovrebbero essere riservate ai “veri” lavoratori autonomi.

I prossimi mesi ci diranno se si tratta di obiettivi raggiungibili o se invece, in queste condizioni di ripresa a singhiozzo e di crescite zerovirgola, l’occupazione resterà inevitabilmente ancorata ai numeri della crisi. Guardando a quanto è successo in questi venti anni, non abbiamo molti motivi per essere ottimisti.

I collaboratori iscritti alla Gestione, seppure in calo dopo il boom degli ultimi anni Novanta, continuano a essere più di un milione e duecentomila, dei quali più di un milione con un solo committente. Le pochissime pensioni liquidate dalla gestione separata (23mila, nei primi nove mesi del 2015) sono sotto i cinquecento euro nel 92% dei casi (21.600 delle 23mila ricordate prima). L’importo medio segnalato dall’Inps per questi assegni, nel suo monitoraggio dei flussi di pensionamento dell’ottobre scorso, è di 167 (centosessantasette!) euro mensili. E anche le proiezioni che presentiamo in questa pagina non lasciano presagire futuri migliori, neanche dopo altri vent’anni di contribuzione oltre il 30%: per 15mila euro di introiti annui, la pensione potrà sfiorare il migliaio di euro mensili. Peccato che i collaboratori a progetto, nel 2014, abbiano guadagnato in media non 15mila, ma 10mila euro l’anno, e meno di 5mila euro tra gli under 30 che non riescono, in sette casi su dieci, ad accantonare più di cinque mesi di contributi ogni anno.

Nel frattempo - cioè, negli ultimi vent’anni - i lavoratori del terzo tipo hanno inventato nuove occupazioni, hanno sfruttato il digitale per creare mansioni prima sconosciute, coprono aree che vanno dalle cattedre universitarie alle mansioni più semplici. E nel frattempo - sempre negli ultimi vent’anni - la gestione separata si allargata a comprendere, accanto a professionisti con partita Iva e collaboratori non fittizi, categorie come gli spedizionieri doganali non dipendenti, i destinatari di assegni di ricerca, i medici con contratto di formazione specialistica e altro ancora. Su tutto questo arriva ora il Jobs act, a sparigliare e a chiamare almeno mezzo milione di collaboratori e i loro committenti a ripensare inquadramento e contribuzioni. Con un ulteriore sforzo di immaginazione, da dedicare al disegno di legge sul lavoro autonomo che dovrebbe finalmente chiudere il cerchio della riforma del lavoro ma che ancora deve vedere la luce.

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