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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2014 alle ore 16:28.
L'ultima modifica è del 28 ottobre 2014 alle ore 11:54.

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(Ap/LaPresse)(Ap/LaPresse)

La Cassazione ha assolto gli stilisti Dolce e Gabbana (difesi da Massimo Dinoia con il socio Armando Simbari) «perché il fatto non sussiste» dall'accusa di evasione fiscale. Gli stilisti erano stati condannati in appello a un anno e sei mesi di reclusione. Assolti anche il commercialista Luciano Patelli (difeso da Franco Coppi, Giuseppe Bana e Fabio Cagnola) e i manager Cristiana Ruella (legale Francesco Mucciarelli) e Giuseppe Minoni (difeso da Francesco Centonze) per i quali in secondo grado era stata emessa sentenza di condanna pari ad un anno e due mesi.

Il tweet
«Eravamo certi!!! Siamo delle persone oneste!!! W l'Italia». Questo il messaggio postato su Twitter da Stefano Gabbana a commento della assoluzione per lui e il collega Dolce dall'accusa di omessa dichiarazione dei redditi da parte della Cassazione. Allegato al messaggio l'hashtag «orgoglioso di essere italiano».

Il procuratore generale di Cassazione Francesco Salzano aveva chiesto la conferma della condanna per gli stilisti, con però la riduzione della pena inflitta in appello per intervenuta prescrizione della contestazione che riguarda l'Iva per l'anno 2005. La Corte d'appello di Milano aveva condannato Dolce e Gabbana a un anno e sei mesi ciascuno per l'accusa di omessa dichiarazione dei redditi.

È stata annullata con rinvio, invece, la sentenza nei confronti di Alfonso Dolce (difeso da Riccardo Olivo), fratello del creatore di moda e amministratore della Gado, la società al centro del procedimento. Per lui dovrà essere ricelebrato il processo in appello. I giudici di Piazza Cavour hanno anche annullato le statuizioni civili, ovvero una provvisionale da 500mila euro da pagare all'agenzia delle Entrate, più il risarcimento del danno da liquidare in sede civile e le spese legali e di rappresentanza per 6mila euro.

L’accusa
L'accusa di omessa dichiarazione dei redditi riguardava appunto la societa Gado, all'epoca dei fatti con sede in Lussemburgo, per gli anni 2004 e 2005. Le contestazioni che riguardano il 2004 si sono già prescritte, mentre per il 2005 è intervenuta la prescrizione relativa all'Iva, quando per altre imposte la prescrizione scatterà il prossimo mese di novembre.

Secondo la tesi accusatoria della procura di Milano, la Gado sarebbe stata un caso di esterovestizione, basata in Lussemburgo solo per pagare meno tasse ma di fatto amministrata in Italia. La società era stata creata in una fase di riorganizzazione del gruppo di moda per la gestione dei marchi, tra cui Dolce&Gabbana, D&G Dolce e Gabbana, ceduti alla Gado dai due creatori di moda.

Nell'aprile 2011 il gup di Milano aveva assolto gli imputati «perché il fatto non sussiste», ma la Cassazione, nel novembre successivo, aveva annullato la decisione del gup e rinviato gli atti a Milano.

La contestazione nei confronti della società - e degli imputati - era di non aver pagato tasse per un imponibile di 200 milioni di euro. In primo grado, poi, Dolce e Gabbana erano stati condannati a un anno e otto mesi ciascuno, con riduzione come detto di due mesi in appello.

Proprio in appello il procuratore Santamaria aveva chiesto l’assoluzione, senza riuscire a convincere la Corte.

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