boccia al governo: reagire e difendersi

CsC: Pil 2018 peggio delle attese a +1,3%, plausibile manovra correttiva da 9 miliardi

di Vittorio Nuti

(Carlo Carino)

6' di lettura

L'Italia cresce, ma troppo poco. La previsione di un rallentamento della nostra economia per il biennio 2018-2019, «anticipato e più ampio» rispetto alle stime del dicembre scorso arriva dal Centro studi di Confindustria, che ipotizza per l'anno corrente una crescita del Pil attestata sull'1,3% in termini reali (dall'1,5% del 2017), con una ulteriore decelerazione all'1,1% nel 2019. Sulla crescita faticosa, meno dinamica anche rispetto al “sentiero” ufficiale contenuto nel Def 2018 presentato dal Governo ad aprile, pesano molti elementi, al centro del Rapporto CsC “Dove va l'economia italiana”, presentato oggi a Roma, dove tornano anche molte delle indicazioni per la riforma della governance Ue espresse dal presidente dell’associazione degli industriali Vincenzo Boccia negli ultimi mesi.

Le previsioni del Csc per l’Italia Variazioni % e differenza rispetto a previsioni Csc dicembre 2017
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I fattori che frenano la crescita
Il rallentamento della domanda estera,
si legge nel deocumento, e «l'esaurirsi del ciclo positivo degli investimenti a livello nazionale, legati entrambi al clima di incertezza sia sul fronte internazionale che interno» - anche al netto di «aggiustamento fisiologico» dopo i forti incrementi degli ultimi anni - influenzeranno in negativo, almeno nel breve periodo, i principali fattori dell'economia nazionale, dall'export (in ribasso: «le esportazioni aumenteranno meno della domanda mondiale nel 2018-2019, per la prima volta dal 2013» e «il Paese tornerà a perdere quote di mercato») agli investimenti privati (fase espansiva in esaurimento, con forte contrazione nel primo trimestre per le incertezze della fase elettorale), al credito bancario («cresce poco e fornisce uno scarso supporto agli investimenti delle imprese» nonostante i costi siano al minimo). Giù anche i consumi delle famiglie (in frenata, anche a causa del lavoro che cresce meno del Pil, ad un ritmo sotto il +1,0 per cento già nel 2017 e ancor più lentamente nel biennio di previsione) e agli investimenti pubblici (continueranno a scendere in termini nominali del 12,5% nel 2018, con un piccolo recupero nel 2019).

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L’export italiano rallenta nel 2018

Variazioni in percentuale. Fonte: Rapporto CsC «Dove va l'economia italiana» giugno 2018

L’export italiano rallenta nel 2018

Plausibile manovra correttiva da 9 mld
In questo quadro, per gli economisti di Confindustria «è plausibile la richiesta di una manovra correttiva in corso d'anno». Nello scenario di previsioni di giugno del Centro studi di viale dell'Astronomia «la correzione richiesta quest'anno sarebbe di 0,5 punti di Pil, pari a 9 miliardi». Nel 2019 «la correzione dovrebbe essere di 0,6 punti, quasi 11 miliardi, poco meno di quanto entrerebbe dall'attivazione della clausola d salvaguardia».

Boccia a Governo: prepariamoci a rallentamento, reagire e difendersi
«Siamo ottimisti nelle aspettative e pessimisti nelle previsioni», ha spiegato Boccia a margine della presentazione del rapporto CsC commentando lo scenario economico che emerge dal documento. Al rischio rallentamento «si aggiunge un rischio incremento dei tassi e la fine del quantitative easing nel 2019. Prepararsi a questo futuro significa potenziare la competitività delle imprese italiane e costruire un percorso virtuoso». Il suggerimento di Biccia al Governo è di «definire un intervento organico di politica economica di medio termine che metta al centro anche l'attenzione su altri argomenti: infrastrutture, giovani, occupazione». Prioritaria l’occupazione, «a partire dai giovani e più netto in busta per i lavoratori italiani a partire dal cuneo fiscale». Boccia ha quindi posto «una questione di metodo» al Governo: «Sarebbe opportuno definire innanzitutto gli effetti sull'economia reale delle cose che si vogliono realizzare».

La campagna elettorale è finita, basta parlare solo di migranti e pensioni
«Non possiamo sostenere ancora mesi di campagna elettorale», ha messo poi in guardia il presidente di Confindustria invocando «un confronto serrato» su «contenuti e strategie». Ora bisogna «entrare in una dimensione di intervento organico di politica economica, non si può parlare solo di migranti e di pensioni». E fare attenzione alla compatibilità tra misure del ”contratto di governo” e conti pubblici. Il rischio non è solo «di depressione, non solo di regressione, ma di inizio del declino». Preoccupa una politica che oggi alza la voce con l'Europa? «Seè una tattica per costringere l'Europa a costruire una stagione di riforma aiuta, se è invece una logica che è contro l'Europa a prescindere non aiuta affatto. Se l'Italia esce dall'euro può avere solo problemi».

Boccia: l'Italia vince con l'Europa e dentro l'Europa

Il quadro dei conti pubblici
La «dinamica meno favorevole» del Pil attesa per i prossimi anni si ripercuoterà inevitabilmente sui nostri conti pubblici, tuttora a rischio ancorché in gradualissimo miglioramento (con deficit pubblico ancora «su un sentiero di lenta discesa», dal 2,3% del Pil nel 2017 all'1,9% per il 2018 e all'1,4% nel 2019, e Il rapporto debito pubblico/Pil in «leggera diminuzione»: dal 131,6% del 2018 al 130,7% nel 2019) perchè gravati da una pesante incertezza su molti fronti. Pesano le incognite su come il nuovo Governo M5S-Lega risolverà l'annunciata sterilizzazione della clausola di salvaguardia Iva e ancora di più come l’esecutivo Conte deciderà di attuare il “Pacchetto riforme” contenuto nel “contratto di Governo” giallo-verde: r eddito di cittadinanza, flat tax, superamento legge Fornero, solo per citare le misure principali. In altre parole, sottolinea il Rapporto Csc, «molto dipenderà anche dal modo e dalla sequenza temporale con la quale verranno declinate» le riforme, e sull'accortezza nel «collegare le varie misure per evitare effetti indesiderati», introducendole «con gradualità, per testarne gli effetti sull'economia ed evitare impatti troppo negativi sui conti pubblici».

Clausole Iva disinnescate in deficit ma nente calo per debito
Le previsioni di rallentamento dell'economia italiana del CsC «lasciano poco spazio di manovra sui conti pubblici», avverte il capoeconomista di Confindustria, Andrea Montanino, illustrando il rapporto di giugno del Centro studi. Non c'è «una indicazione esplicita» sulle scelte da fare rispetto all'eventuale aumento dell'Iva per le clausole di salvaguardia, ma c'è un avvertimento chiaro: «Non si può più fare come in passato: probabilmente non aumentare l'Iva e finanziare tutto a deficit sarebbe un errore». «Aumentare l'Iva e basta avrebbe effetti recessivi importanti. Aumentare l'Iva per finanziare investimenti pubblici addizionali potrebbe invece avere effetti positivi». Il rapporto ricorda che «è stata chiesta ed ottenuta molta flessibilità dall'Europa, quasi 30 miliardi, e le clausole di salvaguardia sono state disinnescate per tre quarti in deficit, il debito pubblico non è calato».

Più Europa, ma non “questa” Europa
Con previsioni di crescita «più lenta del previsto a politiche invariate», e l'handicap di politiche economiche ancora tutte da scrivere (e soprattutto finanziare) e dagli effetti «incerti da prevedere», si legge ancora nel Rapporto Csc «risulta ancora più evidente come lo scacchiere su cui giocare la partita dello sviluppo italiano non possa essere solo quello domestico ma debba essere necessariamente quello europeo». La ricetta per consolidare e ridare slancio alla ripresa è dunque più Europa, nonostante non sia di moda, perché «rappresenta un'opportunità per tutti i paesi membri, compresa l'Italia, per risolvere i problemi di bassa crescita, stabilizzazione delle fluttuazioni del ciclo, eventuali crisi di sfiducia e conseguente difficoltà di accesso ai mercati finanziari». Nella seconda parte, dedicato a illustrare «Una proposta per l'Eurozona”, il Rapporto CsC si focalizza su tre ambiti specifici dove l'integrazione europea dovrebbe aumentare: potenziamento della crescita, stabilizzazione ciclica, e gestione delle crisi finanziarie dei paesi membri. Le misure «ambiziose ma realizzabili» messe sul tavolo da Confindustria come piattaforma per una “proposta italiana” di riforma della governance economica dell'Eurozona si suddividono in 4 capitoli.

Strumento di stabilizzazione e nuovo bilancio Ue
Si parte dalla chiusura dei «cantieri aperti» di riforma, a partire dal completamento dell'Unione bancaria e di quella dei capitali, «cruciali per avere finalmente mercati europei e non più “nazionali”». Da risolvere, in particolare, «il problema degli elevati portafogli bancari di titoli sovrani nazionali, che sta bloccando il procedere della riforma dell'Eurozona». Più che imporre limiti «controproducenti» allo stock di titoli, occorre puntare sulla «diversificazione dei portafogli» emettendo «nuovi titoli europei sintetici, basati sui bond nazionali, che le banche potrebbero acquistare». Il secondo passo è la creazione di uno «strumento europeo di stabilizzazione» dell'economia che «finanzi o co-finanzi investimenti e/o sussidi di disoccupazione, a fronte di shomisure «ambiziose ma realizzabili» ck economici negativi che colpiscono uno o più paesi membri. Lo strumento proposto dal CsC dovrebbe essere basato su un nuovo bilancio dell'Eurozona, «alimentato da risorse proprie europee e contributi nazionali», molto più ampio di quanto suggerito dal dibattito attuale sulle risorse Ue, «e che si possa indebitare, tramite l'emissione di titoli sovranazionali».

Piano Investimenti ”coperto” da Eurobond e ministro Ue dell’Economia
Il nuovo bilancio dell'Area euro dovrebbe «servire a finanziare un grande piano europeo di investimenti» per «colmare il gap accumulato durante la crisi» rispetto a Usa e Cina. Gli investimenti di questo speciale “Piano Mashall” per la crescita dovrebbero «essere concentrati in infrastrutture, ricerca e sviluppo, formazione», promuovendo «progetti addizionali, innovativi e rischiosi» e rafforzando il Piano Juncker e con Horizon 2020, utili ma non sufficienti. Il finanziamento del Piano dovrebbe essere garantito da Eurobond per la crescita e la stabilizzazione, da emettere per un controvalore di almeno il 3% del Pil dell'Eurozona. Infine, la proposta CsC prevede il rafforzare del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) che dovrebbe essere trasformato in un Fondo Monetario Europeo (Fme), integrato a pieno titolo nella legislazione Ue con la mission di fornire aiuti finanziari ai Paesi membri. Indispensabile anche una riforma istituzionale, con l'istituzione di un ministro economico europeo che gestisca il nuovo bilancio dell'Eurozona e sia responsabile degli strumenti di stabilizzazione, del piano di investimenti sovranazionale, e del nuovo Fme salvastati, decidendo anche la tempistica delle emissioni di Eurobond. Il nuovo ministro economico, spiega il CsC, «dovrebbe essere indipendente dai paesi membri, per garantire il superamento del metodo intergovernativo oggi prevalente, e dovrebbe poter far rispettare le regole europee, anche intervenendo sulle politiche di bilancio nazionali».

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