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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2013 alle ore 08:30.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:45.

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Non sarà generoso nello stimolare la crescita come molti speravano, ma il Budget pluriennale Ue 2014-2020, domani al voto dell'Europarlamento, getta sul piatto risorse per 960 miliardi. Dopo tutto, come ha enfatizzato il presidente della Commissione José Manuel Barroso, «ogni singolo anno del budget comunitario impiega, ai prezzi attuali, fondi superiori dell'intero piano Marshall ai suoi tempi».

Certo, senza il condizionamento del rigorismo nordico, l'Unione europea avrebbe potuto stanziare più risorse per rilanciare occupazione, ricerca e competitività; e, se si fosse poi trovato il coraggio di puntare su eurobond e innovativi sistemi di finanziamento, si sarebbero senz'altro potuti mobilitare maggiori investimenti. Ma è sterile cullarsi solo nei rimpianti. Ora è il momento di rimboccarsi le maniche, di recuperare il terreno perduto sul fronte delle risorse non utilizzate e di fare squadra per sfruttare al meglio le opportunità che ci vengono offerte dall'Europa nei prossimi sette anni.
Solo nei fondi strutturali restano grossomodo 16 miliardi ancora da spendere del vecchio settenato, che quindi dovrebbero arrivare a quasi 30 con il cofinanziamento, mentre il nuovo budget pluriennale ne destina teoricamente 31,7 miliardi per l'Italia che - con i 24 di cofinanziamento previsti dalla legge di stabilità - porterebbero l'intero flusso di fondi strutturali, giacenti e futuri, da iniettare nell'economia italiana fino al 2020 a circa 90 miliardi.

Un importo non disprezzabile al quale vanno aggiunte le opportunità offerte dalle azioni della Bei e dai programmi di finanziamenti diretti gestiti da Bruxelles a partire da Orizzonte 2020 - erede del Settimo programma quadro per la ricerca - che mette in palio per aziende, università ed enti di ricerca dei 28 Paesi Ue circa 77 miliardi, mentre altri 2,3 miliardi saranno accessibili attraverso il programma specificatamente destinato alle Pmi (Cosme). E poi altre occasioni ancora sono disponibili: dai 14 miliardi erogati a tutta Europa dal programma Erasmus per gli studenti, aperto ora a imprenditori e ricercatori, agli oltre 3,4 miliardi messi a disposizione dal programma Life+ per progetti ambientali, nel quale di solito le imprese italiane si fanno valere.

Su queste partite decisive per ridare smalto all'economia italiana, il sistema Paese deve però presentarsi compatto e reattivo. Abbandonare i campanilismi che stanno ritardando gli accordi di partenariato con le regioni per i fondi strutturali o le polemiche locali che hanno accompagnato il progetto dell'Agenzia per la coesione nazionale. Anche perché gli esami da affrontare sono impegnativi e i programmi comunitari non sono semplici rubinetti da aprire. Lo dimostrano il severo giudizio appena riservato da Bruxelles alla Legge di stabilità e l'inserimento nei nuovi regolamenti della mannaia della "macrocondizionalità", ovvero la possibilità conferita alla Commissione di sospendere i pagamenti dei fondi a stati che non adottino "provvedimenti efficaci" per rimediare a squilibri nei propri conti. Per questo è più che mai importante che il sistema politico e amministrativo italiano, in sintonia con il mondo produttivo, sappia esibire al tavolo comunitario quell'efficienza e incisività che spesso è mancata in passato.
ebrivio@gmail.com

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