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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2012 alle ore 08:17.

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Toda casa es candelabro / donde arden con aislada llama las vidas. Forse questo verso era sbocciato nella mente del giovane Borges mentre, ventiquattrenne, passeggiava per le vie della sua città, dato che la raccolta poetica s'intitola Fervore di Buenos Aires (1923). Ed effettivamente le mura dei palazzi celano al loro interno tante fiamme "appartate" (aislada), cioè vite isolate nelle loro solitudini o nei loro drammi, famiglie scavate dalle divisioni o unite nell'amore, benestanti o curve sotto l'incubo della povertà e dell'assenza di lavoro. Indimenticabile è la considerazione del Tolstoj di Anna Karenina: «Le famiglie felici si assomigliano tutte; quelle infelici lo sono ciascuna a modo suo».
Attorno a questa realtà, che Aristotele nella sua Politica riteneva essere la struttura istituita dalla natura stessa per provvedere all'esistenza piena della persona, ora si accostano "esperti" di ogni genere, non di rado nell'atteggiamento di chi visita un malato al capezzale. Dai sociologi agli psicologi, dai politici ai sacerdoti, è tutto un affluire di competenze che, da un lato, registrano pur sempre il rilievo sociale che la famiglia presenta, ma d'altra parte ne marcano le ferite, ne tamponano i dissanguamenti, ne tentano persino la rianimazione. Un evento porterà tra poco questa componente radicale della comunità umana, emblema di ogni altro tipo di incontro o comunione interpersonale, al centro dell'attenzione: dal 30 maggio al 3 giugno a Milano si svolgerà il "VII Incontro mondiale delle Famiglie" che vedrà la presenza anche di Benedetto XVI.
È curioso notare che la parola più usata nell'Antico Testamento, dopo il nome proprio divino (Jhwh), è ben, "figlio", che risuona 4.929 volte, un vocabolo che s'intreccia in ebraico col verbo banah, "costruire"; non per nulla un unico termine bajit indica contemporaneamente sia la "casa" materiale, sia il "casato" dinastico e familiare. Forse anche in connessione con l'evento milanese si stanno moltiplicando le pubblicazioni riservate a questo tema che resiste alle devastazioni (anche ideologiche) che ha subìto, alle deformazioni e alle stesse evoluzioni che hanno condotto dalla famiglia "patriarcale" e corale, ma compatta attorno al suo asse matrimoniale e generazionale, alla famiglia "allargata" e frammentata o a quella "nucleare" che ha nell'isolamento della porta blindata di un anonimo condominio il suo emblema.
Ecco, allora, le reazioni antitetiche – se vogliamo stare ancora alla letteratura – di un Chesterton che, nel suo scritto Fancies versus Fads (1923), considera la famiglia «il test della libertà perché è l'unica cosa che l'uomo libero fa da sé e per sé», e di un Gide dei Nutrimenti terrestri (1897) con la sua famosa intemerata: «Famiglie, vi odio! Focolari chiusi, porte serrate, geloso possesso della felicità!». Dal punto di vista religioso possiamo segnalare ora qualche percorso, ricordando che le stesse Scritture Sacre ebraico-cristiane sono intessute di storie di famiglie, di genealogie, di vicende familiari gloriose, come quelle del biblico Tobia o della famiglia di Nazaret (storie non certo spoglie di incubi), e tragiche (basti solo pensare al fratricidio di Caino contro Abele o del tentato parricidio di Assalonne nei confronti di Davide).
Eppure, nonostante questo rilievo, bisogna convenire con Carlo Rocchetta che, presentando la sua Teologia della famiglia, registra la sostanziale assenza di una trattazione sistematica di questo tema. Al massimo si può parlare di una "teologia in cantiere" o "in frammento". È, perciò, interessante il tentativo globale messo in opera da questo teologo, noto anche per aver riproposto – l'aveva reclamato anche Heinrich Böll prima di staccarsi dalla Chiesa cattolica – una riflessione teologica sulla tenerezza. La sua è una vasta "visione d'insieme" di tutte le questioni che s'annodano attorno alle coordinate orizzontali e verticali della famiglia, quindi alle sue dimensioni antropologico-morali e sociali, ma soprattutto a quelle strettamente teologiche. Non bisogna, infatti, dimenticare che la famiglia è la grande "analogia" o "icona" che il cristianesimo identifica per definire lo stesso mistero divino che è trinitario e comprende un Padre, un Figlio e uno Spirito-amore.
Da lassù si scende naturalmente anche alla famiglia di Nazaret e alla famiglia umana velut Ecclesia domestica. Un moltiplicarsi di orizzonti e di iridescenze che forse nel testo di Rocchetta si ramificano eccessivamente, cedendo alle ripetizioni e alle espansioni esorbitanti e richiedendo un disboscamento di pagine, ma che riescono comunque a confermare, come dichiarerà il Concilio Vaticano II, che questa «intima comunione di vita e di amore», che è la famiglia, non è solo «la prima e vitale cellula della società», ma è anche un segno religioso capitale. Lo è stato sempre nella tradizione ecclesiale, come testimonia il numero monografico della «Rivista di Storia del Cristianesimo» dedicato alla «famiglia cristiana tardoantica fra trasformazioni e continuità».
Sorprendente è l'articolo che Cornelia B. Horn incentra sul ruolo dei bambini, la cui figura era già valorizzata dallo stesso Gesù, ma che in questo scritto entra in scena – attraverso la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea – persino col profilo un po' sconcertante dei bambini martiri, ma anche del nuovo modello religioso dell'era costantiniana fondato sul rapporto madre (Chiesa)-figlio (fedele). Altri saggi puntano verso aspetti giuridici e soprattutto ascetico-mistici (ad esempio, i monasteri strutturati come famiglie). Dicevamo sopra che "casa" è il vocabolo che funge da vessillo per incarnare sia lo spazio vitale domestico, sia l'esistenza familiare che in esso si svolge (è dei nostri giorni il lessema "casa-famiglia", dotato però di una connotazione specifica).

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