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Questo articolo è stato pubblicato il 05 gennaio 2012 alle ore 06:42.

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LONDRA. Dal nostro corrispondente
Non si può ancora parlare di grandi manovre, ma qualcosa si muove attorno al London metal exchange, storica borsa britannica che in settembre ha svelato d'essere al centro di molti interessi. Si muovono le banche che sono clienti e proprietari del listino controllando il 75% delle azioni di tipo A. In altre parole senza il consenso di buone parte di loro la cessione di un pezzo di storia della finanza anglosassone sarà molto difficile.
Nei mesi scorsi l'Lme aveva annunciato che almeno 10 gruppi avevano manifestato generico interesse per rilevare un exchange che potrebbe costare un miliardo di sterline. Fra essi spiccano i nomi del Cme group, il colosso di future e derivati con sede a Chicago, Intercontinental exchange che scambia prevalentemente future e prodotti Otc in energia e materie prime e il Singapore Exchange. Le banche che controllano Lme temono che i potenziali compratori finiscano per importare regole rigide e penalizzanti per il lucroso business che il boom delle materie prime ha generato.
La Fed e le autorità di controllo europee stanno mettendo a punto norme che rendono più stringenti e meno remunerative le operazioni connesse al trading di metalli, mentre la britannica Financial service authority ha mantenuto, fino ad ora, un approccio molto più morbido. E questo le banche vorrebbero preservarlo. Così, secondo i rumors della City, stanno pensando di alzare le barricate contro il rischio di limitazioni nel trading di contratti sui metalli e soprattutto sullo scambio di quantità reale, fisiche, di alluminio e oro, rame e argento. Le sole operazioni di deposito di metalli garantisce alle banche utili molto significativi. Tanto importanti da aver convinto Goldmand Sachs e Jp Morgan a moltiplicare gli investimenti nei settore. Jp Morgan è andata anche più in là diventando il maggior azionista di Lme con l'acquisizione della quota del 4,7% che faceva capo al broker MF Global.
Una minoranza di blocco appena sopra il 25% delle azioni di tipo A basterebbe a far fallire scalate indesiderate, secondo molti analisti della City. Goldman e Jp Morgan hanno insieme poco meno del 20% e in linea di massima non dovrebbero aver grandi difficoltà a mettere insieme altri partner per mandare in fumo progetti di takeover. Le banche per ora evitano di commentare ma operatori del settore ritengono che «qualsiasi cosa capace di alterare il modello di business negli aspetti di fondo sarà inaccettabile per gli istituti di credito».
Resta solo da capire per quanti istituti e soprattutto restano da vedere le offerte. Se saranno davvero più consistenti del previsto la difesa inalberata dalle banche potrebbe entrare in crisi.
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