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Questo articolo è stato pubblicato il 30 luglio 2014 alle ore 10:02.
L'ultima modifica è del 30 luglio 2014 alle ore 20:09.

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Bocciato il Senato elettivo, promosso il "canguro". Sono questi i due eventi di rilievo della giornata di oggi a Palazzo Madama dove si discute la riforma costituzionale del Senato. Una giornata caratterizzata da toni meno accesi di ieri, quando era fallita la "mediazione Chiti" e tra maggioranza e opposizione erano state scintille. Ma il ritmo dei lavori resta lento, e l'obiettivo del via libera entro l'8 agosto rimane lontano.

"No" all'emendamento sul Senato elettivo
Con 57 voti di scarto l'Aula ha respinto un emendamento di Augusto Minzolini (Fi) che proponeva il Senato elettivo a suffragio universale e diretto. I "no" sono stati 171, i "sì" 114, gli astenuti 8. Tra i favorevoli, oltre a M5S, Sel e Lega (con l'eccezione del co-relatore Roberto Calderoli, che si è astenuto), anche i dissidenti di Fi, Ncd e Pd. Una conta ufficiale in piena regola, quella andata in scena, che fa dire a un soddisfatto Minzolini: «Non hanno i due terzi perciò chiederemo il referendum senza che venga modificato l'articolo 138 della Costituzione».
Ma dalla maggioranza il dem Andrea Marcucci fa notare che «il sasso più grosso è stato tolto dai binari: il voto dell'Aula sull'emendamento Min-Min ha confermato che sulle riforme c'è una maggioranza. Ora ci aspettiamo un percorso più agevole». Il senatore Pd rinnova la disponibilità del Governo a «riaprire il dialogo con chi rinuncerà all'ostruzionismo». E sul referendum taglia corto: «Siamo i primi a volerlo fare, a prescindere dall'esito parlamentare in seconda lettura».

La Giunta per il regolamento benedice il "canguro"
In apertura di seduta, questa mattina, erano piovute richieste di chiarimento sul ricorso allo strumento del "canguro" (la cancellazione a cascata di emendamenti analoghi a una proposta di modifica respinta) per una materia delicata come quella costituzionale. Richieste che hanno indotto il presidente del Senato Pietro Grasso a convocare la Giunta per il regolamento - sollecitata ieri anche dalle opposizioni, prime "vittime" del taglio automatico degli emendamenti - con sospensione dei lavori d'aula «prevedibilmente» fino alle 11.30, poi diventate le 15 per il prolungarsi dei lavori. Il verdetto è stato chiaro: il meccanismo è legittimo.

Il no di Sel e il "canguro" di Grasso sugli emendamenti
L'unico emendamento approvato ieri, con un sì bipartisan, era stato quello sulla parità di genere che dovrà essere «promossa» dalle norme che regoleranno la composizione del Parlamento. La linea di mediazione ispirata dalla maggioranza si era invece infranta contro il "no" di Sel, il primo ostacolo sul binario della riforma previsto alla vigilia dal premier Renzi, che per bocca del suo braccio destro, Luca Lotti, ha ribadito: «Andremo avanti anche oltre l'8 agosto». Alla scadenza mancano dieci giorni, e sembra difficile riuscire a smaltire le migliaia di emendamenti al testo, nonostante il "canguro".

Gelmini (Fi): ostruzionismo sbagliato. Stefano (Sel): è sola arma opposizione
Della battaglia di ieri, con il Pd schierato a difesa delle ragioni della maggioranza contro la linea ostruzionistica di M5S, Lega e soprattutto Sel (cui si si deve gran parte dei 7.800 emendamenti presentati in aula) ha parlato questa mattina l'ex ministro dell'Istruzione Maria Stella Gelmini (Fi), convinta che l'ostruzionismo sia «una scelta profondamente sbagliata che in qualche modo conferisce una valenza etica alla battaglia di Renzi contro il Senato». Ospite di Agorà (Rai 3) Gelmini ha spiegato che «chi si pone nei confronti del Paese non con la volontà di emendare la riforma ma con la volontà di bloccarla fa un grande favore a Renzi e un grande danno al Paese». A Gelmini ha replicato a stretto giro il senatore Dario Stefano che ha difeso la posizione di Sel: «Cosa potrebbe fare una forza di opposizione che ha solo sette senatori se non quello di utilizzare gli strumenti del dibattito parlamentare?». L'attività legislativa e di riforma, ha aggiunto Stefano, «è del Parlamento, non possiamo immaginare che il Parlamento ratifichi una scelta del governo».

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