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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2012 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 18 gennaio 2012 alle ore 08:18.

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Cara Europa, adesso tocca a teCara Europa, adesso tocca a te

Proprio in questa settimana il presidente Mario Monti ha ribadito che i tassi italiani non sono giustificabili alla luce di quello che l'Italia sta facendo. Un po' beffardamente, la settimana scorsa si è conclusa con la pesante scure del downgrading. Nonostante il cambio di Governo, la manovra e il pareggio di bilancio scendiamo di due gradini e con prospettive negative. Ma chi ha ragione? Perché gli spread sono ancora così alti seppure l'Italia sia vicinissima a ottenere il pareggio di bilancio? Di chi è la colpa: dell'Italia, dell'Europa o della Bce? Che cosa misura ancora quello spread, sfiducia verso l'Europa o sfiducia verso l'Italia?

Uno spread positivo fra i tassi italiani e quelli tedeschi identifica la possibilità che si possano verificare due eventi, che non si escludono a vicenda. Il primo è quello del default nelle sue varie forme. L'Italia potrebbe prima o poi mettere mano al suo debito ristrutturandolo per ridurre la spesa per gli interessi, oppure potrebbe tagliarne parzialmente o totalmente il valore facciale. In questi casi, gli investitori chiedono un tasso più alto, un premio, per compensare le eventuali perdite. Il secondo evento, forse più una curiosità teorica, cattura la possibilità che in un periodo futuro l'Italia possa avere una moneta diversa rispetto a quella dalla Germania, che perderà valore. Per questa circostanza, gli investitori richiedono un premio per proteggersi contro il deprezzamento della nuova moneta italiana. La prima preoccupazione è comune a tutti gli investitori, la seconda solo a quelli esteri. Le agenzie di rating valutano esclusivamente il primo evento.

Ma perché, ragionano i mercati, non si può escludere completamente un default dell'Italia? Perché potrebbe darsi che l'Europa abbandoni l'Italia a se stessa nel garantire la solvibilità del suo debito. Il percorso per farcela da soli, ora che la fiducia è stata persa, è veramente stretto. E questo è innegabile. Se mai l'Italia riuscisse a cambiare marcia da un giorno all'altro e crescere in termini reali al 2,5% annuo da qui fino al 2020 - un vero e nuovo miracolo italiano - e in termini nominali al 4,5%, con un 2% di inflazione annua, il Pil salirebbe a circa 1.860 miliardi nel 2.015 e 2.300 miliardi nel 2020. In questo scenario roseo, i 1.900 miliardi di debito oggi, che sono tantissimi, sarebbero comunque tanti nel 2015 e abbastanza nel 2020. Sarebbero forse ancora troppi per potere riconquistare la fiducia dei mercati. Ma quanto possiamo realmente credere a questo nuovo miracolo italiano?

Anche se si riuscisse in tempi brevi a imboccare la strada giusta delle vere riforme strutturali - e non ci siamo ancora arrivati - dobbiamo essere consapevoli che gran parte della nostra crescita dipende dal resto del mondo, e che i Paesi industrializzati non sono immuni ai fenomeni dei cicli economici, con recessioni che accadono in media ogni 4-5 anni. Ci stiamo già immergendo nella prossima recessione. Questa osservazione è sufficiente per smontare lo scenario da miracolo italiano. I 1.900 miliardi di oggi sarebbero ancora tantissimi nel 2015 e fin troppi nel 2020. In quest'ottica non è da escludere che in 5 anni o 10 anni, se non prima, l'Italia dovrà alzare bandiera bianca. Siamo sicuri che fra 10 anni avremo ancora risorse, e forza, per contrastare una nuova crisi di fiducia, maggiori interessi, una grave recessione sempre con quel rollover di 1.900 o più miliardi? Nello spread dei decennali di oggi, secondo i mercati, paghiamo proprio la possibilità di questa circostanza futura. Così come paghiamo il fatto che non sappiamo che governo avremo fra 5 o 10 anni, se sarà disposto o no ad accettare legittimamente o no i diktat europei di austerità. Paghiamo anche il fatto che il programma di austerità fiscale e di rientro sul debito, non solo fa male alle economie e quindi allo spread, ma aumenta paradossalmente la probabilità che un Paese faccia default. Mi viene in mente una conversazione avuta mesi fa con un gestore di hedge fund londinesi che si poneva il problema del perché mai un Paese con pareggio di bilancio non dovesse fare default. Il punto è che con il raggiungimento del pareggio di bilancio non c'è bisogno di ritornare sul mercato e quindi il Paese uscirebbe da qualsiasi logica di determinazione dei propri tassi sul mercato e potrebbe imporre offerte che non si potrebbero rifiutare, o questo o niente. Un altro modo per ridursi i tassi, se l'Europa non ce lo concede. Chi ci assicura che non avremmo un governo forse populista, anti-europeista ma anche legittimato democraticamente che arrivi a ragionare in questi termini?

Ecco che nello spread dei tassi a lunga scadenza di oggi leggiamo proprio la mancanza di appropriate garanzie contro il verificarsi di questi scenari. Garanzie che l'Italia non può dare, per cui la responsabilità ultima dello spread è proprio dell'Italia. Ma per chiudere questi buchi, e rendere improbabile tali scenari, e quindi abbassare lo spread l'Europa può fare qualcosa. Se a garanzia di quel debito, ci fosse la tassazione europea allora sarebbe più improbabile che ci trovi davanti al rischio default. Se la Bce riconoscesse quel debito come figlio legittimo della sua moneta, non solo gli spread si abbasserebbero da subito rendendo meno probabile scenari del genere, ma si avrebbe la garanzia ultima che l'Italia non sarebbe da sola.

Giustamente, il presidente Monti ha incominciato a sollevare la questione in Europa. Sarà questa la missione principale del suo governo, cioè di fare in modo che l'Europa agisca. È una missione coerente questa con lo spirito della sua discesa in campo, di non lasciarsi nelle mani del podestà straniero.

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