materie prime

Il prezzo del rame vola oltre 6.200 dollari ai massimi da due anni

di Gianni Mattarelli

(Olycom)

3' di lettura

Il rame si è spinto fino a superare quota 6.200 dollari al London Metal Exchange, ai massimi da maggio 2015, proseguendo la corsa dopo il balzo del 4,6% con cui venerdì aveva chiuso la settimana a 6.090 $/tonnellata (base tre mesi), oltre la soglia tecnica di resistenza a salire posta a a 6.045 $.

Lo strappo al rialzo era stato causato dalla concomitanza di notizie fondamentali positive giunte a metà giornata. Il mercato non aveva avuto forti reazioni allo sciopero alla miniera cilena di Escondida, iniziato il giorno precedente, perché l’evento era già stato scontato dal mercato: come spesso accade, la notizia «era già nel prezzo» e gli scambi – pur in rialzo dai 5.822 $ della chiusura di giovedì – sin verso il mezzogiorno di Londra avevano oscillato intorno a 5.880 $, valore più volte recentemente toccato. Ma all’apertura dei mercati americani questa calma apparente si è interrotta.

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Mentre i sindacati in Cile annunciavano di prepararsi a un lungo sciopero, Bhp Billiton , maggiore azionista di Escondida, ha invocato la «forza maggiore» interrompendo la spedizione di concentrati dalla miniera. Nel fine settimana si sono anche verificati atti di vandalismo nel complesso minerario.

Fin dal primo momento era stata invece accolta con qualche dubbio la dichiarazione del Governo indonesiano, sul rinnovo della licenza mineraria di Freeport-McMoRan , che avrebbe riaperto la strada alle esportazioni da Grasberg. In effetti la società statunitense ha fatto sapere poco dopo che non avrebbe accettato nessun rinnovo se non alle stesse condizioni fiscali e legali del precedente contratto. Inoltre ha comunicato di aver sospeso le operazioni estrattive nella miniera, perché non ha più spazio in magazzino.

A rinforzare gli animi dei partecipanti al mercato sono intervenute anche le statistiche di gennaio dalla Cina, pubblicate venerdì, che mostrano una crescita annuale delle esportazioni del 7,9%, mentre le importazioni erano salite del 16,7%. Forti le entrate di minerale di ferro (+12%, secondo maggior livello di sempre) e di carbone, al massimo da tre anni. Quelle di rame a dire il vero sono calate (-22% sul mese precedente sia per il metallo che per i concentrati), ma questo non ha provocato alcuna apparente reazione in un mercato in cui il partito dei rialzisti si stava rafforzando.

Nessun effetto aveva avuto anche la notizia di giovedì, secondo cui la disponibilità di catodi rame nei magazzini doganali di Shanghai era salita a fine gennaio a 505mila tonnellate, con un aumento del 36% dalle 370mila di un anno prima, forse anche perché l’incremento bilanciava in pratica la riduzione delle giacenze avvenuta nello stesso periodo nei magazzini Lme (da notare tuttavia che queste ultime ammontano a 247mila tonn, di cui ben 108mila già registrate per l’uscita, per cui il loro impatto su possibili tensioni è maggiore).

Nel complesso la situazione fondamentale del rame, dopo anni di eccedenza, sarebbe ora vicina all’equilibrio se lo sciopero a Escondida dovesse prolungarsi. Gli analisti calcolano che ogni settimana di sciopero dovrebbe portare a una perdita di 20-25mila tonnellate di rame.

Poiché la legge cilena limita a 30 giorni la durata dello sciopero, la perdita massima potrebbe aggirarsi sulle 80-100mila tonnellate, pari all’eccedenza globale stimata in media dagli analisti, che verrebbe perciò azzerata. In un mercato con domanda in ripresa questo potrebbe essere un fattore sufficiente a portare le oscillazioni del prezzo su valori superiori a quelli visti nella prima parte dell’anno.

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