IL BAROMETRO DELL’ECONOMIA

L’acciaio recupera volumi

di Matteo Meneghello

(REUTERS)

3' di lettura

A conti fatti non può essere considerato un anno di ripresa, ma almeno il 2016 ha fatto segnare, per l’acciaio italiano, l’arresto di una spirale di caduta che durava da tre anni. Il 2015, sul piano della produzione, è stato un annus horribilis per la siderurgia nazionale, che ha toccato il punto più basso degli ultimi anni, con poco più di 22 milioni di tonnellate prodotte. Un livello produttivo che ha sancito la duplice difficoltà dell’Italia, con i lunghi afflitti dalla perdurante difficoltà del mercato dell’edilizia (e con il progressivo rischio-abbandono da parte di attori importanti dello scenario come il gruppo Lucchini) e con i piani zavorrati dall’andamento a singhiozzo dell’attore principale dello scenario siderurgico nazionale, vale a dire il gruppo Ilva. Senza contare le difficoltà dello scenario globale.

Quest’anno sta andando in archivio con un recupero di almeno un milione di tonnellate (21,5 milioni prodotti a novembre, +4,9% sullo stesso periodo dell’anno scorso) dettato proprio dal parziale riallineamento degli impianti pugliesi su un battente produttivo di quasi normalità (il dossier Ilva dovrebbe nei prossimi mesi sbloccarsi, con la cessione del gruppo commissariato a un operatore privato). Un mini-rimbalzo nei volumi che appare, nel vecchio continente, un’anomalia tutta italiana e che ne rivela l’inconsistenza strutturale, nonostante il recupero dei prezzi nell’ultima parte dell’anno.

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Guardando al resto del mondo, sono solo i paesi emergenti a continuare a spingere gli impianti al massimo, mentre l’Europa e le siderurgie occidentali sono costrette a tirare il freno. I numeri di Worldsteel aggiornati a novembre consentono di tracciare un bilancio ormai quasi definitivo sull’andamento dell’ultimo anno. Il primo dato che emerge con chiarezza è il recupero dell’output globale delle posizioni perse l’anno scorso.

COSI’ NEL MONDO

La produzione mondiale nei primi 11 mesi dell'anno. (Fonte: Worldsteel)

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La frenata dell’anno scorso (nel 2015 la produzione mondiale ha subito una battuta d’arresto che non si osservava dal 2009, soprattutto a causa del rallentamento della Cina) sembra ormai solo una parentesi: dopo un inizio anno sullo stesso tono del 2015, nella seconda parte la Cina è tornata a produrre, e nel solo mese di novembre ha messo a terra oltre 66 milioni di tonnellate di acciaio (+5%), con un totale nei primi 11 mesi che ormai sfiora i 740 milioni. Spinge sull’acceleratore anche l’India, terzo produttore mondiale: nell'ultimo mese ha prodotto più di 8 milioni di tonnellate (+10,7%) per un totale di 87,5 milioni da inizio anno. Sostanzialmente invariata, invece, la produzione giapponese (-0,5% nei primi 11 mesi, circa 96 milioni di tonnellate), mentre la Corea del Sud perde circa un milione di tonnellate per un totale di 63 milioni.

Oltre all’Asia, dove sono concentrate cinque delle dieci principali industrie siderurgiche nazionali, nel resto del mondo cresce anche l’area araba (spinta dall’Iran) e i paesi extra Ue, trainati dalla Turchia (ottavo produttore mondiale), mentre l’ex Csi resta in equilibrio con la Russia e con il recupero dell’Ucraina, che scalza l’Italia dalla decima posizione in assoluto tra i produttori.

A soffrire resta la sola Ue, che in 11 mesi perde quasi 5,5 milioni di tonnellate (ne aveva persi altri tre nel 2015), spinta verso il basso dalle difficoltà del Regno Unito (colpita dal dumping cinese, l’output cala da 10 a 7 milioni di tonnellate), della Francia e della Germania.

Ora resta da capire se le ultime iniziative dell’Ue contro le importazioni di alcuni prodotti cinesi dispiegheranno effetti nell’anno in corso. Il tema legato all’azione antidumping cinese (a sua volta legato alla sovracapacità produttiva globale) e la eventuale concessione del Mes a Pechino hanno riempito il dibattito sul futuro dell’acciaio europeo lungo tutto il 2016.

Nelle scorse settimane il Parlamento di Strasburgo ha approvato (con il solo voto contrario dell’Italia) una risoluzione che «modernizza» le difese commerciali comunitarie. Una scelta che l’Italia ha giudicato insufficiente, poco efficace e poco ambiziosa. «Non è certo una sconfitta dell’Italia, del suo Governo o di Federacciai, che hanno condotto una battaglia di principio con coerenza e determinazione, è la sconfitta dell’Europa della manifattura» ha commentato a questo proposito Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. «Si tratta - ha detto - di un provvedimento al ribasso che penalizza ulteriormente, a livello continentale, non solo l’acciaio, ma molti altri settori manifatturieri, accelerando un processo di deindustrializzazione di settori portanti dell’economia europea, con la conseguenza di un impoverimento complessivo delle comunità, e quindi una alimentazione di quelle tensioni sociali che, sempre più, rischiano di trovare una risposta politica nei populismi».

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