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la politica monetaria americana

Svolta Fed, i tassi salgono dopo nove anni. Yellen: «È la fine di un’era»

NEW YORK - Il dado è tratto: la Federal Reserve ha fatto scattare ieri pomeriggio, al termine di due giorni di riunione al vertice, il primo rialzo dei tassi di interesse americani in quasi dieci anni. Una stretta d’un quarto di punto - allo 0,25%-0,50% - decisa all’unanimità e che vale la fine di un’era, perché ha schiodato il costo del denaro da minimi vicini a zero dove la Fed l’aveva portato nel dicembre 2008 in risposta alla grande crisi finanziaria ed economica.

Nel corso dell’anno prossimo la Banca centrale ha fatto sapere di avere in programma, in un percorso senza scosse, altre quattro mini-strette. A ruota è arrivata la decisione di Jp Morgan e Wells Fargo di portare il prime rate dal 3,25 al 3,50 per cento.

La Fed ha notato «considerevoli miglioramenti quest’anno nelle condizioni del mercato del lavoro e ha ragionevole fiducia che l’inflazione aumenti, nel medio termine, verso l’obiettivo del 2%». I rischi «tenendo conto degli sviluppi interni e internazionali appaiono equilibrati sia per l’outlook dell’attività economica che per il mercato del lavoro». E si aspetta che «le condizioni evolvano in modo da garantire solo graduali incrementi dei tassi», i quali dovrebbero comunque rimanere «per un certo tempo sotto i livelli prevalenti nel lungo periodo». La previsione media dei 17 esponenti Fed, invariata da settembre, è di quattro rialzi di un quarto di punto nel 2016 che portino i tassi all’1,375 per cento.

«L’economia sta andando bene e ha soddisfatto i criteri per un rialzo dei tassi», ha detto il presidente Janet Yellen durante la successiva conferenza stampa, aggiungendo di non temere l’avvento di nuovi rischi di recessione. La «modesta» stretta rappresenta piuttosto «la conclusione di un’epoca eccezionale e riflette la convinzione che l’economia continuerà a rafforzarsi». Yellen ha anche ricordato che «la politica monetaria resterà accomodante» e che la Fed monitorerà attentamente i dati, la debole inflazione, attribuita anzitutto al temporaneo calo dell’energia, come anche le rimanenti fragilità nel mercato del lavoro.

Ma se il cammino della Fed verso la prima stretta, oggetto di ripetuti rinvii, non è stato facile, la strada di una continua normalizzazione di politica monetaria non appare meno irta di incognite. La Borsa ha reagito nell’immediato con sollievo ad una scelta largamente anticipata, con gli indici che hanno svettato dell’1,5 per cento. «Cosa farà però davvero la Fed del 2016? E sta commettendo un errore? Sono questi gli interrogativi da porsi» dice John Bellows, gestore di Western Asset di Legg Mason. L’iniziale rialzo tiene a battesimo questo nuovo dibattito nonostante le indicazioni offerte da Yellen. «Prevedo almeno un’ulteriore stretta a marzo, ma in seguito la Fed potrebbe dover riesaminare strategia e outlook», continua Bellows. «Ha lavorato troppo al varo del ciclo di strette per invertire la rotta con leggerezza» spiega. E i rischi di errori restrittivi gli sembrano scarsi: modesti rialzi «non minacciano effetti sproporzionati sull’economia», la posizione accomodante della Fed può contare anche su 4.500 miliardi di dollari in titoli che manterrà in bilancio e il deleveraging avvenuto in molti settori attutirà eventuali stress. Il gestore vede tuttavia l’economia ancora afflitta in prospettiva da eccessiva debolezza, tanto da mettere alla prova la flessibilità di politica monetaria.

Joseph LaVorgna di Deutsche Bank teme all’orizzonte pericolose incomprensioni tra la Fed e Wall Street. «La distanza tra le aspettative dei mercati e dei banchieri centrali rimane ampia. I primi finora hanno scommesso su due strette l’anno prossimo, i secondi su quattro. E la composizione del vertice della Banca centrale sarà semmai meno accomodante nel 2016». Michael Lake di Schroders ipotizza a sua volta lo spettro di tensioni: «La strada verso una vera normalizzazione dei tassi potrebbe presentare più volatilità di quella al momento immaginata sia dalla Fed che dagli investitori». Che potrebbero cadere vittima di una sottovalutazione di un nuovo rischio-tassi.

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