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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2014 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 09 settembre 2014 alle ore 11:09.

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Chi avrebbe dovuto sapere, sapeva. E chi sarebbe dovuto intervenire per impedire che il marciatore altoatesino Alex Schwazer si dopasse, non solo non è intervenuto ma lo ha addirittura favorito. È questa la clamorosa conclusione a cui si arriva leggendo le oltre 400 pagine di avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato qualche settimana fa agli avvocati di Schwazer e a quelli dei medici federali Giuseppe Fischetto e Pierluigi Fiorella e dell'ex dirigente Fidal Rita Bottiglieri.

Ma la Procura di Bolzano non si è limitata a puntare il dito su quelle quattro persone. Ha fatto molto di più, lanciando una pesantissima accusa all'intero sistema sportivo italiano. Dalla lunga e meticolosa indagine, coordinata dal procuratore Guido Rispoli e condotta dal sostituto Giancarlo Bramante con il supporto investigativo del Ros di Trento, con il tenente colonnello Michael Senn e il maresciallo capo Alessandro Fontana, assieme ai Nas di Firenze e di Trento, è infatti emerso che nell'epoca in cui il Coni era presieduto da Gianni Petrucci il sistema anti-doping ha fatto acqua da tutte le parti. Non solo, abbiamo anche appreso che nelle rare occasioni in cui hanno rischiato di finire nelle seppur larghissime maglie della rete anti-doping, atleti di punta sono stati puntualmente aiutati a uscirne indenni. Per fare nomi e cognomi, a parte Schwazer si parla degli staffettisti che nel 2010 hanno vinto l'argento nella 4x100 agli Europei di Barcellona e del velocista/saltatore Andrew Howe.

L'atto di accusa che emerge dalle carte di un'inchiesta condotta da un team di Carabinieri di due reparti e due città diverse, mette a nudo un intreccio di interessi e connivenze sportive ed economiche (vedi box su Asics) che fa inevitabilmente tornare a mente l'epoca buia del "doping di Stato", quando il professore ferrarese Francesco Conconi era sotto contratto del Coni per sperimentare sostanze o tecniche di "potenziamento artificiale" della performance atletica.
«Dopo la vicenda Conconi, in cui Coni e federazioni sono stati colti con le mani nel sacco, il sistema è cambiato. La scelta dei vertici è stata quella del sbrigatevela da soli, noi non vogliamo sapere niente», sostiene Alessandro Donati, consulente dell'Agenzia antidoping mondiale, Wada, e recente autore del libro Lo sport del doping - Chi lo subisce, chi lo combatte. «Non a caso Schwazer è stato beccato dalla Wada e non dalla Fidal o dal Coni».
Dopo la clamorosa confessione televisiva di Schwazer, i dirigenti sportivi hanno fatto a gara a chi si dichiarava più sorpreso.

A partire da chi aveva la più diretta responsabilità, e cioè il medico Giuseppe Fischetto, responsabile sanitario della Fidal: «Nulla era mai trapelato, né ci era stata mai comunicata (...) la collaborazione "parallela" dell'atleta con il Dr. Ferrari", ha scritto il Dott. Fischetto in una lettera al presidente della Fidal riferendosi al medico ripetutamente accusato di doping e bandito dalle autorità sportive dal quale Schwazer aveva ammesso di essere stato seguito.

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