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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2014 alle ore 17:55.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2014 alle ore 14:07.

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Eroe di guerra per gli israeliani, nemico giurato per i palestinesi: Ariel Sharon e Yasser Arafat hanno avuto quasi due vite parallele e si sono combattuti sempre, fino all'ultimo respiro. L'ultima accusa degli arabi contro di lui è stata nel novembre scorso quando si diffuse la notizia che secondo una commissione scientifica svizzera il leader palestinese, morto nel 2004 in un ospedale di Parigi, poteva essere stato assassinato con il polonio: l'ordine di avvelenarlo, dicevano nei Territori, era venuto proprio da Sharon. Esperti francesi e russi sono arrivati a conclusioni diverse ma la fine di Arafat resta un mistero.

"Arafat era considerato da Israele un ostacolo alla pace _ faceva notare qualche tempo fa l'editorialista di Haaretz Avi Isacharof_ ma è anche vero che all'epoca della morte, nell'autunno del 2004, Arafat era isolato anche dalla comunità internazionale". Non c'è dubbio che i due si detestassero: ma fino a che punto?

Da molti anni circola una storia che sfiora la leggenda. A Beirut, il 30 agosto del 1982, durante l'operazione "Pace in Galilea", contrassegnata dall'invasione israeliana del Libano e dalla strage dei palestinesi a Sabra e Shatila, un cecchino israeliano inquadrò nel mirino del suo fucile Yasser Arafat. Ma non tirò il grilletto. A salvare la vita al leader palestinese fu Ariel Sharon con un ordine all'ultimo minuto del quale non è mai stata data una spiegazione convincente. Che questa vicenda sia fondata o meno, il racconto rappresenta in maniera quasi emblematica una stagione politica mediorientale segnata per mezzo secolo dall'odio che ha diviso il capo storico dei palestinesi e il generale israeliano che più di ogni altro ha contrastato nella sua vita le aspirazioni di un popolo senza Stato.

In questa battaglia a distanza tra i due nemici - si incontrarono una sola volta e non si strinsero mai la mano- non ha sempre vinto Sharon. Il generale ed ex primo ministro spesso trionfava sui campi di battaglia ma non in politica. Nel '94 per esempio il presidente americano Bill Clinton fece stringere la mano a Yasser Arafat e a Yitzhak Rabin, ai quali poco dopo andò anche il premio Nobel per la pace. Allora Sharon subì uno smacco che non ha mai digerito. Per poi meditare la rivincita quando nel 2000 fece la famosa "passeggiata" sulla spianata della moschea di Al Aqsa a Gerusalemme che diede il via alla seconda Intifada, mettendo Arafat in grandi difficoltà, fino a perdere il controllo della situazione a favore dell'ascesa inarrestabile di Hamas a Gaza. L'anno seguente, nel 2001, Sharon impedì che Arafat presenziasse alla messa di Natale a Betlemme iniziando un assedio alla Muqata, la roccaforte a Ramallah del capo palestinese, che di fatto si concluse soltanto con la morte di Arafat.

Per i palestinesi il giudizio su Ariel Sharon non cambia certo oggi. "Sharon era un criminale, responsabile dell'assassinio di Arafat" è il commento di Jibril Rajub, dirigente del movimento al-Fatah. «Lo ricorderemo come l'uomo che ha ucciso, distrutto e causato la sofferenza di diverse generazioni di palestinesi», aggiunge Khalil Al Hayya, esponente di Hamas. Come si vede una storia dalle letture diametralmente contrapposte: le vite parallele di Sharon e Arafat la riassumono nella maniera più aspra e forse inconciliabile.

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