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Questo articolo è stato pubblicato il 04 novembre 2014 alle ore 14:24.
L'ultima modifica è del 04 novembre 2014 alle ore 15:48.

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Per la Corte europea di Strasburgo l'Italia è un Paese che non offre sufficienti garanzie ai richiedenti asilo per l'alloggio. Il giudizio è parte della sentenza che ammonisce la Svizzera a non rinviare in Italia una famiglia di richiedenti asilo, se il Governo italiano non indica prima come si prenderà cura di loro.

Il caso riguarda una famiglia di afghani, padre, madre e sei figli nati tra il 1999 e il 2012, che al momento vivono in Svizzera. La famiglia era arrivata sulle coste calabresi nel 2011 dall'Iran e quindi, in base al regolamento di Dublino, il Paese competente per decidere della loro richiesta d'asilo era l'Italia. Ma la famiglia preferì recarsi prima in Austria e poi in Svizzera per vedersi riconosciuto questo diritto, temendo che in Italia le condizioni di vita sarebbero state inadatte, soprattutto per i bambini. E la Corte europea dei diritti umani gli ha dato oggi ragione. I giudici hanno infatti stabilito, in una sentenza definitiva, che qualora il Governo svizzero dovesse rinviare la famiglia in Italia senza prima aver ricevuto da questa dettagliate informazioni su dove e come la famiglia verrebbe alloggiata, si concretizzerebbe una violazione del loro diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.

Secondo i giudici, «non è infondato ritenere che i richiedenti asilo rinviati adesso in Italia da altri Paesi europei, in base al regolamento di Dublino, corrano il rischio di restare senza un luogo dove abitare o che siano alloggiati in strutture insalubri e dove si verificano episodi di violenza». È la prima volta che la Corte di Strasburgo si pronuncia contro un invio in Italia di richiedenti asilo da un altro Paese europeo. Una decisione simile finora era stata presa solo nei confronti della Grecia. In base alle informazioni fornite dalla Corte di Strasburgo ci sono circa 20 ricorsi pendenti simili a quello della famiglia afghana.

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