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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 08:24.

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La crisi dell'euro è anche una crisi istituzionale dell'Unione Europea. Non funzionano gli strumenti che quest'ultima si è data per gestire la crisi. Stiamo assistendo a una rincorsa affannosa per trovare soluzioni che regolarmente non soddisfano i mercati.

L'Unione Europea è cambiata sotto l'impatto della crisi, ma non abbastanza per risolvere quest'ultima. La sfida finanziaria e la sfida istituzionale sono drammaticamente intrecciate. Non si vince la prima senza trovare una soluzione alla seconda, come hanno ribadito anche ieri Monti e Hollande.
Che l'Unione Europea sia cambiata non vi sono dubbi. Si può dire che l'Unione Europea che è uscita dal Trattato di Lisbona del 2009 non c'è più. Le decisioni che contano sono ormai prese esclusivamente dagli Stati dell'area dell'euro, decisioni quindi formalizzate dal Consiglio Europeo o dal Consiglio dei ministri economici e finanziari dell'intera Unione.
La crisi dell'euro ha portato alla formazione di due Europe, quella del mercato comune e quella della moneta comune. Finora le due Europe erano state tenute insieme dai vari Trattati che si sono succeduti dopo quello di Maastricht (1992). Tuttavia, l'approvazione definitiva dello European Stability Mechanism e del Fiscal Compact darà alla differenziazione una base giuridica distinta.

Le implicazioni politiche di tale trasformazione sono dirompenti. Con l'assenza della Gran Bretagna dall'area dell'euro, la coalizione sovranista si è fortemente indebolita. Per di più, prigioniera della sua politica interna, la leadership britannica tende ad auto-escludersi sempre di più dalla politica europea, lasciando gli stati membri sovranisti dell'Unione Europea senza una guida autorevole. Per di più, la stessa Gran Bretagna sollecita l'area dell'euro ad integrarsi anche sul piano politico, per meglio governare la moneta comune, ritagliando per sé stessa una presenza esclusivamente nel mercato comune. L'assenza della Gran Bretagna ha già ridefinito i termini del confronto politico in Europa. La divisione non è più tra nazionalisti ed europeisti, ma tra diversi progetti di integrazione.

Su ciò, un gruppo di ministri degli esteri, coordinati dal tedesco Guido Westerwelle, si è messo al lavoro dal maggio scorso. Al suo interno, non può stupire che la Francia si sia rivelata il paese più freddo verso progetti di integrazione che comportino un ridimensionamento delle sovranità nazionali. Se è vero che la Francia di Hollande ha contribuito positivamente a ridimensionare l'impatto dell'ortodossia finanziaria della Germania, è anche vero però che l'idea francese di Europa continua ad essere preminentemente intergovernativa. Se così continuerà ad essere, sarà difficile trovare in tempi ravvicinati una soluzione istituzionale alla crisi dell'euro. Non basta dichiararsi a favore dell'integrazione solidale, come ha fatto recentemente il presidente francese Hollande, per dare vita ad un governo efficiente e legittimo della moneta comune. Occorre molto più coraggio, da parte del leader francese, per rimarcare la sua differenza da chi lo ha preceduto.

L'Italia può fare molto per individuare un punto di incontro tra visioni ed esigenze diverse del processo di integrazione. Per risolvere la crisi dell'euro, l'Italia deve premere affinché i paesi della moneta comune accentuino la loro integrazione fiscale e bancaria. Ciò implicherà un ridefinizione sostanziale delle loro sovranità. Essi dovranno trasferire a livello sovranazionale competenze finora conservate (gelosamente) a livello nazionale. Naturalmente, tale cessione di sovranità sarà compensata dalla loro partecipazione alla formazione delle nuove istituzioni sovranazionali. E comunque l'intervento di queste ultime sarà invasivo in particolare verso gli stati membri incapaci di governare se stessi, non già verso quelli che saranno capaci di farlo. Allo stesso tempo, l'Italia dovrebbe accompagnare tale integrazione fiscale e bancaria con un progetto originale e realistico di governo politico dell'Europa dell'euro. Un progetto che tenga presente i cambiamenti radicali intervenuti negli ultimi tre anni nella struttura decisionale dell'Unione, quali l'indiscutibile preminenza decisionale acquisita dal Consiglio Europeo e l'efficace ruolo di controllore di quest'ultimo esercitato dal Parlamento Europeo.

La costruzione di un progetto di riforma basato su queste due istituzioni consentirebbe all'Italia di ricomporre la visione francese (tradizionalmente favorevole al Consiglio Europeo) con quella tedesca (tradizionalmente favorevole al Parlamento Europeo).
Insomma, è necessario elaborare idee nuove per risolvere la crisi istituzionale dell'euro. Si tratta di una sfida storica per i leader politici europei e per il governo italiano. Una sfida molto più sofisticata di quella che immagina l'Economist, per il quale l'alternativa continua ad essere tra un super-stato europeo e la dissoluzione dell'Unione. Piuttosto, la sfida concerne la possibilità di differenziare costituzionalmente le due Europe pur preservando l'Europa unica del mercato comune.

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