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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2012 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 23 febbraio 2012 alle ore 06:40.

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Non si può capire la crisi dell'euro e trovarvi duraturo rimedio se non si riconosce che la crisi finanziaria nata negli Stati Uniti e poi propagatasi al resto del mondo ha solo esacerbato e anticipato un problema fondamentale della moneta comune. La crisi del debito che viviamo oggi in Europa si sarebbe manifestata comunque, più gradualmente, anche in assenza della recessione dell'economia mondiale. Perché?

Il problema è che nell'Europa della moneta comune non esiste un meccanismo di riequilibrio dei disavanzi delle partite correnti. Pensiamo a un mondo senza la crisi del 2009-2011 e senza i pacchetti di stimolo e salvataggi bancari che hanno destabilizzato le finanze pubbliche dei Paesi europei - i Pigs in particolare. Consideriamo tre situazioni di squilibrio nelle partite correnti - la situazione nell'Unione monetaria europea, lo squilibrio globale Usa/Cina e gli squilibri interni tra stati americani. È dal loro raffronto che possiamo capire i guai odierni dell'Europa e come porvi rimedio.
Unione monetaria. Il valore o la forza dell'euro può essere pensato come la media della forza competitiva dei singoli Paesi membri: alcuni Paesi si troveranno al di sotto e altri al di sopra. Oggi la moneta comune rende le merci tedesche (le sue esportazioni) più a buon mercato di quanto sarebbero in assenza di essa e le merci di Paesi come Italia, Spagna o Grecia più care. Questo crea uno squilibrio commerciale tra la Germania da un lato e i Paesi mediterranei dall'altro. Questi squilibri non possono essere corretti da aggiustamenti del cambio come avverrebbe se non ci fosse la moneta unica, per cui lo squilibrio persiste.

La Germania vende all'Italia più di quanto questa non venda alla Germania creando un avanzo in Germania e un disavanzo in Italia. L'Italia deve trasferire ogni anno attività ai tedeschi per finanziare il disavanzo. Ne segue che la Germania accumula ogni anno crediti verso l'Italia (o la Grecia e la Spagna), in titoli, attività finanziarie varie, etc. Come passano gli anni e lo squilibrio persiste, lo stock di attività italiane detenute in Germania tende a crescere senza limiti in assenza di aggiustamenti del cambio e dato che i prezzi nei due paesi si muovono poco.
Squilibrio tra Usa e Cina. Ricordate quale era lo squilibrio fondamentale di cui si parlava prima che scoppiasse la crisi? Era nelle partite correnti tra Usa e Cina: ogni anno la Cina esporta verso gli Usa molto di più di quanto importi e quindi accumula crediti verso gli Stati Uniti. Grandi quantità di debito pubblico americano, azioni di imprese Usa, attività reali si trasferiscono ogni anno dagli Stati Uniti alla Cina per finanziare il disavanzo. La crisi dell'euro ha rubato i titoli dei giornali a questo squilibrio che pure ha la stessa natura di quello interno all'Europa.

Esso terrorizzava e ancora terrorizza i cittadini americani e i suoi policy makers perché se la Cina decidesse di smettere di sottoscrivere titoli del debito pubblico americano il Tesoro Usa si troverebbe di fronte allo stesso problema che attanaglia oggi l'Italia: come finanziare il debito e farlo a tassi di interesse contenuti. La differenza con l'Italia è che se il Tesoro americano dovesse avere problemi di finanziamento il dollaro si deprezzerebbe immediatamente, tanto quanto necessario per correggere lo squilibrio originale e rilanciare le esportazioni e l'economia americane. L'appartenenza alla moneta comune implica che questa strada sia preclusa all'Italia (come a Grecia, Spagna etc.).
Squilibri tra stati in una unione monetaria e fiscale. Lo stato di New York e del Mississippi hanno una situazione simile a quella di Germania e Grecia: hanno una moneta unica - il dollaro - e uno squilibrio commerciale. Infatti lo stato di New York esporta verso il Mississippi molti più beni di quanti questo ne vende allo stato di New York. Questo squilibrio persiste perché non ci possono essere aggiustamenti di cambio che renderebbero i beni di New York più cari e quelli del Mississippi meno cari, assorbendolo. Se gli Stati Uniti fossero una unione monetaria come l'europea la gente del Mississippi dovrebbe pagare ai newyorkesi i beni in eccesso che importano e consumano ogni anno cedendo attività.

Ovvero i newyorkesi accumulerebbero titoli di credito del Mississippi. Ma questo non accade perché gli Stati Uniti, oltre a essere una unione monetaria sono anche un'unione fiscale. Accade che New York trasferisce tutti gli anni denari agli stati del sud. Questo avviene attraverso il bilancio del governo federale sotto forma di welfare e redistribuzione fiscale: gli stati più poveri (come il Mississippi) tendono a ricevere molto di più di quanto contribuiscono al governo federale e viceversa gli stati più ricchi. È quindi l'unione fiscale che previene l'emergere di uno squilibrio tra stati dell'unione, eliminando il rischio di crisi di bilancia dei pagamenti per gli stati del sud.
Morale. Alla lunga l'unione monetaria senza unione fiscale è un sistema instabile. Se niente cambia prima o poi deve dissolversi: l'euro crolla come moneta unica e i Paesi con disavanzi nelle partite correnti lo abbandonano beneficiando di una moneta svalutata che rende i beni da loro prodotti competitivi, ristabilendo l'equilibrio.

Oppure deve convergere verso una vera unione fiscale che sia in grado di ridistribuire risorse dai Paesi in surplus a quelli in disavanzo, dalla Germania alla Grecia. La recessione globale e la crisi dei debiti sovrani hanno accelerato, esacerbato ma forse anche oscurato un problema che era latente già dalla creazione dell'euro. Chissà se la violenza con cui la crisi ha portato alla luce l'esistenza del problema non ne faciliti anche la soluzione.

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