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Le vittime della Yellen: chi rischia di più tra bond e mercati…

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effetti collaterali DELLA STRETTA USA

Le vittime della Yellen: chi rischia di più tra bond e mercati emergenti

Se la Fed ha alzato il costo del denaro è perché la situazione economica negli Stati Uniti è nettamente migliorata in questi anni. Il rialzo dei tassi segna l’inizio della fine di una strategia non convenzionale di politica monetaria (tassi a zero e Quantitative easing) che la Fed, seguita a ruota dalle maggiori banche centrali di tutto il mondo, ha adottato per contrastare gli effetti nefasti della crisi finanziaria del 2008. Questo ritorno alla normalità tuttavia non sembra ricevere l’accoglienza in genere riservata alle buone notizie. Il mercato è nervoso, come dimostra l’impennata della volatilità (l’indice Vix è balzato ai massimi da settembre) mentre tra gli investitori prevale la prudenza come dimostra un sondaggio tra gestori condotto dal BofA Merrill Lynch da cui è emersa la preferenza per la liquidità come classe di investimento, tipico segnale di un mercato che non vuole rischiare.

Come tutte le terapie forti, anche la politica ultraespansiva della Fed ha una vasta gamma di effetti collaterali. Uno dei più importanti riguarda il mercato obbligazionario. La stategia della Fed per tappare le falle di un sistema imploso per gli eccessi del debito (si pensi ai titoli tossici garantiti da mutui di debitori insolventi) è stata paradossalmente quella di favorire la creazione di altro debito. Consapevole che altre misure (ad esempio un’ondata radicale di ristrutturazioni) sarebbero state ben più dolorose, la Fed ha azzerato il costo del denaro inondando di liquidità (tre piani di «Qe») un mercato ormai illiquido. Questa strategia e stata essenziale per permettere all’economia americana e al sistema finanziario globale di reggere l’urto di una crisi di fiducia riaprendo di fatto il mercato del credito alle imprese Usa dopo la stretta del 2008/2009.

Con gli anni tuttavia ha anche alimentato bolle speculative come quella delle obbligazioni high yield (ad alto rischio e rendimento) o delle società dei Paesi emergenti. Le condizioni favorevoli garantite dalla Fed hanno incentivato il ricorso al debito. Aziende, anche a basso merito di credito, hanno iniziato a emettere obbligazioni. La platea degli investitori disposti a comprarle d’altronde era vasta. In parte per l’abbondante liquidità fornita dalla Fed e in parte per la fame di rendimenti in un mercato, quello obbligazionario, dai tassi sempre più compressi.

Le emissioni di titoli high yield negli Usa, soprattutto in settori in crescita come lo “shale oil”, hanno macinato record toccando il controvalore di 310 miliardi di dollari nel 2014. Per analoghe ragioni è successo lo stesso per i titoli dei Paesi emergenti. Il valore del debito corporate dei Paesi in via di sviluppo dal 2008 ad oggi è triplicato arrivando a quota 2mila e 600 miliardi di dollari a giugno di quest’anno. Una fetta consistente del quale emesso in valuta forte (dollari soprattutto).

La sostenibilità di questa montagna di debito è tuttavia stata messa in discussione in questi anni. La decisione della Fed di “normalizzare” la sua politica monetaria ha contribuito, insieme al rallentamento dell’economia cinese, al crollo del mercato delle materie prime a creare squilibri. La fuga di capitali dai Paesi emergenti ha provocato pesanti svalutazioni delle valute locali esponendo le società ultraindebitate in dollari (soprattutto in Russia e Brasile) al rischio insolvenza. Così come al rischio insolvenza sono esposte le tante società del settore Oil&Gas negli Usa che ora si trovano a dover rimborsare i debiti contratti con i conti in rosso per via del crollo del prezzo del greggio. Di recente l’agenzia Moody’s ha stimato un’ondata di default nel settore per il prossimo anno. Il rischio di un effetto contagio a tutto il settore delle obbligazioni high yield è reale e non è un caso che i tassi dei titoli spazzatura siano tornati ai livelli di cinque anni fa. È soprattutto per l’incertezza riguardo questi nodi irrisolti (che la Fed stessa a contribuito a formare) che il mercato non guarda con troppa fiducia al rialzo dei tassi Usa.

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