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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 08:02.

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A la guerre comme à la guerre. Non c'è più tempo per trastullarsi facendo finta di niente, per continuare a scherzare col fuoco nell'illusione dell'invulnerabilità, per marciare solo al ritmo di diktat, dogmi e inviolabili regole ferree. Dopo due anni e mezzo di questa cura, l'euro sta per arrivare al capolinea: deflagrazione e poi il buio oltre la siepe. Per tutti.

Ci sono solo otto giorni per scongiurare il peggio, la fine dell'euro e dell'Europa. Il suicidio di un continente. Prigionieri dei rispettivi micro-orizzonti nazionali, i Governi più che per viltà hanno tutti peccato e deluso per inadeguatezza e incompetenza. E nulla oggi può seriamente indurre a credere che, di fronte al collasso annunciato, cambierebbero davvero atteggiamento. Probabilmente non ne avrebbero la forza prima ancora della volontà politica.
Men che meno si può sperare in un ruolo attivo delle istituzioni europee, troppo deboli, servili e compromesse con i poteri costituiti, soprattutto nelle grandi capitali dell'Unione.

A difesa dell'euro oggi non resta che un baluardo: la Bce di Mario Draghi. Forte dell'indipendenza garantita dal suo statuto, può andare controcorrente, agire sfidando inedia, divisioni e cecità dei Governi e salvare euro ed Europa dai propri istinti peggiori. Autodistruttivi.
In quanto unico organismo europeo dotato di autonomi margini di manovra, con un sussulto di coraggio e di lungimiranza oggi è la sola a poter cambiare il corso della storia e di una crisi altrimenti mortale. Senza entrare in rotta di collisione con un mandato che le impone di salvaguardare la stabilità dei prezzi: sia quando salgono sia quando scendono troppo.

«La Bce non ha tabù, di fronte a un rischio generalizzato di deflazione interverremo», ha dichiarato in questi giorni Draghi in un'intervista a Le Monde. Con la recessione che morde e l'inflazione in calo, il pericolo di un avvitamento dell'economia dell'eurozona, in breve della sindrome giapponese, si prospetta molto concreto. Per evitarlo è venuto il momento di prendere iniziative non convenzionali, come la ripresa di massicci acquisti di titoli di Stato combinata con la creazione di moneta. Cioè di utilizzare tutta la flessibilità consentita dallo statuto per disarmare i mercati seguendo le orme della Fed. E per recuperare la fiducia degli investitori in fuga dall'Europa.
Una mossa del genere, ben vista da molti, rischia di doversi misurare con la fronda della Bundesbank. Ma avrebbe il grande merito di far prevalere il superiore interesse europeo su quello tedesco, un sano pragmatismo sulle rigidità ideologiche regalando futuro all'euro, non la disfatta.

Se il 2 agosto la Bce, l'unica che ha la potenza di fuoco illimitata in grado di impedire alla crisi di andare fuori controllo, lancerà un segnale forte e chiarissimo, il "generale" agosto sarà sconfitto e questa torrida estate diventerà più vivibile. Non solo per Spagna e Italia taglieggiate dalla corsa degli spread con il bund, che ieri hanno toccato nuovi record. Ma anche e soprattutto per l'Europa intera. Perché integrazione e interdipendenza tra le sue economie sono ormai troppo radicate per illudersi che una rottura sarebbe indolore per una manciata di «happy few».
Non a caso Moody's ha appena svalutato la tripla A di Germania, Olanda e Lussemburgo, annunciando per settembre un possibile voto analogo per Francia e Austria, lasciando intatto solo quello della Finlandia. Motivo? Il contagio della crisi con il suo pesante carico di costi. Che però diventerebbe quasi insostenibile se crollasse la moneta unica. In quel caso, infatti, andrebbero subito all'incasso le garanzie fornite dai singoli Stati per emettere prestiti a favore dei paesi in difficoltà.

Nessuno è al riparo dai contraccolpi dell'euro che si sfilaccia, nemmeno chi torna a parlare di uscita della Grecia come di una benefica operazione chirurgica senza serie conseguenze. Ma nessuno sembra avere la cultura e la visione necessarie per prevederne i danni incalcolabili e dunque evitarli. In questo deserto europeo di leadership e di solidarietà, resta solo la Bce nell'ultima ridotta a impugnare le armi per salvare l'euro e l'economia europea dallo spettro della deflazione.

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