Finanza & Mercati

La Fed non scioglie il nodo dei tassi, ma il lavoro cresce

  • Abbonati
  • Accedi
POLITICA MONETARIA

La Fed non scioglie il nodo dei tassi, ma il lavoro cresce

NEW YORK. La Federal Reserve ha mantenuto fede alla promessa di lasciare invariati per il momento i tassi di interesse americani, vicini allo zero, mentre l’economia recupera terreno dalla frenata di inizio anno e fa i conti con le tensioni internazionali, dalle bufere in Cina all’incertezza per il dramma greco nell’Eurozona. Ma non ha sciolto il vero nodo che tiene gli operatori con il fiato sospeso: quando farà scattare la graduale normalizzazione della politica monetaria con un primo rialzo del costo del denaro, se sarà pronta a intervenire al vertice del 16-17 settembre oppure rinvierà ogni mossa a dicembre.

La Fed, al termine di un vertice di due giorni e con voto unanime, ha apertamente migliorato il suo giudizio sul mercato del lavoro, citando «solidi guadagni» dopo che il tasso di disoccupazione è sceso al 5,3% a giugno. «La sotto-utilizzazione delle risorse sul mercato del lavoro è diminuita», ha aggiunto, una conclusione che tiene in gioco una stretta anticipata. La Banca centrale ha però ammesso che simili passi avanti non sono percepibili sul fronte dell’inflazione, altro criterio essenziale di robustezza economica, che resta troppo debole e «continua a viaggiare sotto» il target ideale del 2 per cento.

I mercati azionari americani, in rialzo di circa mezzo punto già prima dell’annuncio, hanno interpretato la presa di posizione della Fed come un’indicazione comunque di cautela sulle future strette e rafforzato la loro marcia. L’indice S&P 500 nel tardo pomeriggio saliva dello 0,7 per cento.

La Fed ha davanti a sé un complesso dilemma di politica monetaria e di comunicazione e gestione delle aspettative: gli investitori premono per un rinvio di qualunque stretta almeno a fine anno, in omaggio alle incognite globali ieri ribadite anche dal Fondo monetario internazionale. Il managing director dell’Fmi Christine Lagarde ha giudicato la performance statunitense «forte», la Cina «resistente» al cospetto di cadute delle borse e l’area Euro «all’inizio d’una svolta», con una ristrutturazione del debito di Atene probabile se la Grecia approverà aggressive riforme, ma ha ammonito che la ripresa mondiale è fragile e presenta rischi per la crescita. Lagarde, fautrice di rinvii delle strette della Fed, non ha nascosto che la Banca centrale e il Fondo «non sono sempre sulle medesima lunghezza d’onda».

Numerosi esponenti della Fed, coadiuvati da analisti privati, appaiono invece convinti che la manovra di rialzo dei tassi - la prima dal 2006, da nove anni a questa parte - possa scattare fin da settembre. Quando cioè i vertici dell’istituto centrale offriranno nuove proiezioni economiche probabilmente positive e il presidente Janet Yellen terrà la sua periodica conferenza stampa.

La Banca centrale americana ha però preferito ieri evitare di dare esplicite indicazioni sui tempi di una scelta, preservando i suoi spazi di manovra per rimanere sensibile all’evoluzione dei dati economici. Un nuovo barometro significativo per investitori e policymaker a caccia di chiarimenti arriverà già oggi: la stima iniziale del Pil per il secondo trimestre del 2015. I primi tre mesi dell’anno hanno riportato una contrazione e nel periodo aprile-giugno è previsto un recupero seppur a passo modesto, attorno al 2,5%-2,7%, trainato dai consumi che rappresentano i due terzi del prodotto interno lordo statunitense. La performance degli investimenti oltre che della spesa delle famiglie sarà passata al setaccio per valutare la solidità dell’espansione.

Il governo dovrebbe inoltre aggiornere le modalità di calcolo delle statistiche, con l’obiettivo di una maggior efficacia nella lettura di effetti stagionali che secondo gli esperti hanno viziato l’andamento riportato sia nei primi tre mesi di quest’anno che dell’anno scorso. L’esito della revisione è a sua volta atteso con impazienza: la contrazione nel primo scorcio del 2015 è stata infatti in gran parte attribuita al maltempo e altri fattori temporanei, ma non manca chi ha denunciato l’impatto del rafforzamento del dollaro e delle scosse globali, oggi aggravate dai dubbi sulle prospettive della potenza cinese, alla quale sono esposti significativamente i bilanci di numerose aziende americane motore dell’export e della crescita. Per il secondo trimestre dell’anno, con oltre un terzo delle imprese che ha riportato gli utili, il pronostico di FactSet è di una flessione del 2,2% negli utili della Corporate America, la prima dal 2012, che tuttavia rappresenta un progresso rispetto a timori di flessioni superiori al 4% a fine giugno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA