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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2012 alle ore 08:12.

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Nel 1932 l'economista Ludwig von Mises argomentò come la causa della grande inflazione in Germania fosse da rinvenire nella sostanziale ignoranza dell'establishment tedesco della teoria economica.

L a banca centrale e l'intero establishment governativo e intellettuale tedesco non riconobbero in particolare negli anni '20 la teoria quantitativa della moneta. Quella teoria che riconduce i processi inflazionistici all'eccesso di creazione di massa monetaria e che portò Milton Friedman a dire che l'inflazione è sempre ed ovunque un fenomeno monetario.
I tedeschi, allora, rifiutavano di credere non solo che ci fosse una relazione uno a uno tra crescita monetaria e crescita dei prezzi (come predice la teoria quantitativa), ma che i due fossero in qualche modo legati. Ritenevano invece – senza nessun fondamento concettuale ma in modo fideistico - che tutto fosse riconducibile al potere, che l'inflazione che si sviluppava sotto i loro occhi fosse il frutto di forze nemiche. Perfino Herr Havenstein - il governatore della Reichsbank - credeva che la stampa di nuove banconote non avesse niente a che fare con l'aumento dei prezzi delle merci, dei salari monetari e del cambio. Questi aumenti erano attribuiti alla macchinazione di speculatori e approfittatori e agli intrighi di forze nemiche interne ed esterne. Al punto che nessuno avrebbe potuto criticarlo senza correre il rischio di essere denunciato come traditore del paese.

Da allora i tedeschi hanno imparato la lezione e cambiato ortodossia diventando i più strenui sostenitori della teoria quantitativa. Questo ha ispirato il credo pratico della Bundesbank e oggi in Germania nessun governo potrebbe sostenere politiche di finanziamento monetario del tesoro di qualche paese almeno fintanto che rimane in vita la memoria dell'inflazione del 1923.
Parte non piccola del dilemma che l'Europa affronta in questi giorni trae origine da questo problema. Di fronte alla crisi della moneta unica e di quella strettamente legata dei debiti sovrani che investe i paesi del sud dell'Europa - a causa, non va dimenticato, delle debolezze finanziarie ed economiche a cui i governi nazionali hanno esposto i loro paesi - esiste una soluzione: coinvolgere la Banca Centrale Europea direttamente a sostegno dei debiti pubblici di paesi come Italia e Spagna.

Nelle settimane recenti la riluttanza degli investitori a sottoscrivere Bonos e BTp è sempre più alimentata dalla paura che questi paesi, stante la situazione economica stagnante e la carenza di strumenti per farvi fronte, possano dover abbandonare la moneta unica, ritornare a una moneta nazionale ampiamente svalutata rispetto all'euro e ri-denominare il debito oggi in euro nella nuova valuta. Se questo accadesse perderebbero una buona parte del loro investimento. Tale prospettiva fa lievitare il costo del debito (innalza lo spread) che a sua volta aggrava la posizione del paese in due modi: a) perché scoraggia consumi e investimenti privati, acuisce la recessione e riduce la base imponibile; b) perché pone i governi davanti all'ulteriore dilemma di adottare manovre correttive di bilancio e aggravare la recessione o non farlo e rischiare di accumulare debito senza limiti.

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