Italia

Quella nobile vocazione

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L’incontro fra il pontefice e gli imprenditori

La vocazione di creare ricchezza e migliorare il mondo

La profezia e l’economia. Il Papa dei poveri e gli industriali italiani. Il 27 febbraio 2016 è stata una giornata storica per Confindustria. Per la prima volta dalla sua fondazione, nel 1910, nell’anno del giubileo della misericordia, 7mila imprenditori hanno incontrato il papa.

Gran merito ne ha avuto il presidente Giorgio Squinzi, che ha voluto e preparato questo incontro. Un incontro rischioso e necessario che segna simbolicamente e prospetticamente la fine di ogni residuo ideologico.

Siamo nel solco degli ultimi pontefici. Siamo nel solco dell’insegnamento sociale della Chiesa. Ma papa Francesco ha spesso indurito il volto di fronte ai milioni persone che vengono considerati «rifiuti» o «scarti», puntando il dito anche contro l’esito attuale di concezioni economiche divenute prevalenti. Fino a dire che «questa economia uccide», e che la povertà di massa non è un destino naturale, bensì il risultato di una economia falsata, idolatrica. Nella esortazione Evangelii Gaudium ha pronunciato quattro «no» in materia: no a una economia dell’esclusione nella quale le persone sono sospinte ai margini; no all’ideologia del denaro e dell’assoluta autonomia dei mercati; no alla finanziarizzazione esclusiva dei rapporti economici e alle derive speculative; no alla disuguaglianza sociale che genera violenza (si veda EV 53 – 60). L’esperienza della crisi argentina lo ha profondamente segnato. Si tratta di affermazioni che nei media occidentali hanno incontrato quantomeno perplessità, quando non hanno suscitato dure critiche. Si tratta in realtà - lo si è visto bene nel suo intervento davanti agli industriali italiani - di critiche agli abusi del sistema capitalistico. Di certo egli non crede alla teoria della «ricaduta favorevole». Per questo - come già Giovanni Paolo II - papa Francesco insiste sulla figura del lavoro e sul rapporto tra lavoro e dignità della persona umana. Il lavoro rende co-creatori attivi, soggetti protagonisti del processo economico.

Con questo egli non è un avversario radicale del mercato, mentre si è espresso più volte in favore di una «economia sociale di mercato» che sappia assumere favorevolmente il ruolo e la responsabilità dell’imprenditore, che valorizzi la proprietà privata e presupponga la creatività e la libertà dell’essere umano. Si tratta di valori da difendere e da collocare in un ordinamento sociale equilibrato, al servizio della libertà e del bene comune. Con ciò papa Francesco non intende proporre attraverso il suo magistero alcun programma economico concreto. Non gli compete. E sa di non saperlo fare. Ma individua, sul terreno della morale che gli è proprio, nella brama di potere e nell’idolatria del denaro la concomitante crisi antropologica e crisi sistemica che sta minando l’Occidente. Potremmo dire, all’opposto, che si tratta di una preoccupazione che riconosce e muove dall’indispensabilità e dall’insostituibilità dei processi economici, e proprio perciò si domanda come sia stato possibile che una tale utilità abbia messo capo spesso a comportamenti così dubbi e persino gravi sul piano etico; che una tale necessità abbia manifestato carenze così profonde in materia di politiche macroeconomiche, di regolamentazioni legislative, di architettura finanziaria globale.

Nel convegno di Confindustria che aveva preceduto l’incontro, la parola chiave del «fare insieme» aveva già preparato la riflessione che gli industriali italiani volevano offrire al papa. Il papa ha apprezzato. «“Fare insieme” è l'espressione che avete scelto come guida e orientamento. Essa ispira a collaborare, a condividere, a preparare la strada a rapporti regolati da un comune senso di responsabilità. Questa via apre il campo a nuove strategie, nuovi stili, nuovi atteggiamenti». Fare insieme - ha aggiunto il papa - significa anche determinare imprese ad alto interesse sociale, investendo in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. E ha citato le famiglie, gli anziani attivi e i giovani.

Papa Francesco ha formulato un discorso accogliente, a tratti confidenziale. Ha detto agli imprenditori che essi hanno «una nobile vocazione, orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti»; li ha chiamati a essere artefici di «un nuovo umanesimo del lavoro», fatto di professionalità, dignità e giustizia; li ha infine ringraziati per il bene che fanno e potranno fare. Ma essi debbono anche accettare e riflettere sul richiamo esigente che il papa ha fatto loro: «La vostra via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi. La legge suprema sia in tutto l’attenzione alla dignità dell’altro, valore assoluto e indisponibile. Sia questo orizzonte di altruismo a contraddistinguere il vostro impegno: esso vi porterà a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno. L’impresa che voi rappresentate sia invece sempre aperta a quel “significato più ampio della vita”, che le permetterà di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo». Fare assieme non è soltanto l’orizzonte di microrelazioni, ma il fondamento di rapporti più ampi: sociali, economici, politici. Tra profezia ed economia, il papa in fondo ha chiesto di contribuire a inverare l’ethos della democrazia.