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Questo articolo è stato pubblicato il 15 marzo 2012 alle ore 12:47.

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Quarant'anni fa – era il 1972 – usciva "Ultimo tango a Parigi", il film più «immorale» della storia del nostro grande cinema, reo di aver messo in discussione il concetto stesso di potere attraverso la messa in scena di una brutale sodomizzazione che ha come protagonisti Marlon Brando e una giovane nonché misteriosa donna, l'indimenticabile Maria Schneider.

La pellicola venne – letteralmente – "condannata al rogo" (era il 1976): Bernanrdo Bertolucci si sentì come Giordano Bruno ed entrò nella storia. «Un film che ha mutato il volto di un'arte» scrisse, difatti, la celebre critica americana Pauline Kael. E il pubblico di tutto il mondo accorreva nelle sale e aumentarono le vendite di burro. Per la cronaca, il film, al settembre 1980 aveva incassato qualcosa come 86 milioni di dollari dell'epoca. Una cifra stratosferica.

Peccato che in Italia (unico paese al mondo, assieme al Portogallo, dove – facevano però notare i commentatori dell'epoca - «al governo c'è una dittatura fascista») il film non si può vedere. Fino al 1982, quando dei punkabbestia di un centro sociale fanno il grande passo e proiettano la pellicola proibita (la copia personale del regista) durante una rassegna all'aperto, d'estate. Apriti cielo! Arriva la polizia. Bertolucci e i sovversivi si beccano una denuncia per oscenità. L'ennesima. Il film viene finalmente riabilitato solo nel 1986, quando il giudice istruttore Paolo Colella archivia il procedimento penale ritenendo "mutato" il comune sentimento del pudore e considerando il film com "opera d'arte".

Contro Colella il Vaticano organizzò un convegno dal titolo "Mass-media e costume morale: basta con la pornografia di stato!". «Il giorno dopo la sentenza, l'Avvenire scrisse che avevo emesso il decreto di morte della morale cattolica in Italia. Sinceramente non pensavo di avere tutto questo potere…» racconta Colella. Il tempo gli darà ragione tramutando l'oscenità in storia del cinema .

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