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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2012 alle ore 06:38.

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C'era un tempo in cui un cronista poteva passare una giornata, e talvolta anche un mese, a Tripoli, al Cairo, a Baghdad o a Damasco senza alzare il telefono. Da quando sono stati liquidati quattro raìs, compreso quello di Tunisi, e un quinto, Bashar Assad, è pericolante, il mondo arabo è in continua ebollizione ma con uno strano effetto: l'Occidente e l'Europa, che hanno fatto fuori direttamente Saddam Hussein e Gheddafi, archiviato in fretta Mubarak e Ben Alì come se fossero dei partner occasionali, e ora pensano, non si sa come, di detronizzare Bashar Assad, appaiono soltanto spettatori degli eventi che hanno contribuito più o meno consapevolmente a provocare.
A parte gli Stati Uniti, dove Obama agisce solo in funzione della campagna elettorale, dimostrando tutta la sua levità, i leader europei non sono meno eterei, come si è accorto ovviamente anche Putin a San Pietroburgo.
La giornata araba è cominciata ieri a Tripoli con l'occupazione dell'aeroporto da parte della Brigata Al Awfiya (I lealisti) di Tarhuna che chiedeva la liberazione di uno dei suoi capi, Abu Agila al Habshi, scomparso mentre era diretto nella capitale per incontri con i vertici del Governo. Sulla pista è stato bloccato dai blindati anche un velivolo dell'Alitalia, costringendo l'equipaggio e i passeggeri, tra cui la moglie dell'ambasciatore italiano Giuseppe Buccino, a una fuga che si è risolta felicemente con l'evacuazione portata a termine dai carabinieri del Tuscania. La situazione all'aeroporto resta però incandescente perché gruppi di guerriglieri senza insegne e bandiere si sono scontrati con la milizia di Zintane che dalla caduta di Gheddafi si considera garante della sicurezza dello scalo. In un Paese con 60 milizie e oltre 200mila uomini armati fuori controllo, questa è la normalità.
Così come deve apparire normale che il vicepresidente dimissionario della commissione elettorale, Sghair Majeri, annunci ad al-Jazeera il rinvio delle elezioni previste il 19 giugno alla prima decade di luglio: ha rilasciato un'intervista senza che nessuno lo smentisse.
La Libia di Gheddafi si era dissolta prima ancora della fine di Gheddafi, così come l'Iraq di oggi, che pure produce petrolio a ritmi record e di questo passo secondo l'Opec potrebbe appaiare l'anno prossimo l'Iran, sembra più un'espressione geografica che una realtà politica. Il Kurdistan auutonomo è un altro Paese, mentre a Baghdad ieri si è avuto il secondo attentato suicida in una settimana: 25 morti e 70 feriti nell'esplosione di una fondazione di religiosi sciiti. Il governo del premier Nouri al-Maliki, boicottato da sunniti e curdi, appare completamente paralizzato dopo il ritiro degli americani.
Dal caos iracheno alla Siria, dove il cinico Bashar Assad si è paragonato a un chirurgo in sala operatoria che per salvare il paziente è obbligato a spargere sangue. È nato ieri un nuovo Fronte di rivoluzionari ma la guerriglia appare divisa e alcuni gruppi hanno annunciato che non rispetterano più il cessate il fuoco dell'Onu, ormai ridotto a una finzione diplomatica. E oggi prepariamoci alle manifestazioni del Cairo contro le sentenze a Mubarak e al suo regime. Il mondo arabo è al telefono, in tv e sul web, ma in Europa nessuno risponde.
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