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Questo articolo è stato pubblicato il 07 novembre 2013 alle ore 07:15.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 10:40.

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Igovernatori europei non avranno sul tavolo oggi solo tabelle o diagrammi su cui basare decisioni razionali, ma qualcosa di simile a un quadro espressionista a cui dovranno dare un senso comune. Deflazione? Ripresa economica? Segmentazione del l'area euro? Unione bancaria?

Bei tempi quando i banchieri potevano ancorarsi a Milton Friedman e ripetere che il livello dei prezzi è «sempre e ovunque» un fenomeno determinato dall'offerta di moneta, le cui leve erano salde nelle loro mani. Nell'euro area sono le indecisioni politiche dei governi a porre condizioni severe all'analisi e all'azione della Banca centrale.
I mercati si aspettano come minimo che le condizioni del credito restino generose. Chi spera in colpi d'ala liberatori – l'azzeramento dei tassi di riferimento o una massiccia offerta di credito – sottovaluta forse la realtà politica poco concessiva che circonda la banca di Francoforte: ogni decisione si scontra infatti con considerazioni legate a interessi nazionali che i governi vivono ancora come diversi e contrastanti. Si crea una condizione di stallo nella quale purtroppo scivola via il fatto che anche l'inerzia ha potenti effetti redistributivi. A forza di attendere infatti, il continente si divide non solo economicamente, in alcuni paesi il credito rilancia le imprese e il lavoro, nel resto i disoccupati si moltiplicano, reddito reale e potenziale vengono distrutti per sempre, debiti ingenti si accumulano per il futuro. Anche l'inerzia è una scelta. Una scelta avvelenata.

Ma l'inerzia di chi? Pensate all'imbarazzo alla Kaiserstrasse: nel mondo si discute finalmente in modo aperto l'ipotesi che la deflazione europea sia provocata dalla politica economica tedesca che crea un divario eccessivo tra produzione e domanda interna. Ma non è scontato che spetti alla Bce compensare una politica sbagliata che i governi non riescono a correggere e nemmeno a discutere. È piuttosto un labirinto di blocchi reciproci: il tema della deflazione offrirebbe alla Bce lo spunto tecnico per suscitare la risposta politica dai governi, ma accentuare l'allarme rischia di creare quelle aspettative negative che una banca centrale deve evitare. Anche dopo la sorprendente discesa dei prezzi a ottobre allo 0,7% non è ancora in atto una spirale deflazionistica e non è il caso di crearla. Ma anche qui ci sono argomenti redistributivi tra i Paesi dell'eurozona: meno inflazione significa che i governi dei paesi più deboli e indebitati avranno un compito ancora più difficile per riequilibrare i conti o per recuperare competitività.

Se la Banca centrale europea fosse libera di agire dovrebbe acquistare azioni delle piccole e medie imprese italiane e spagnole. È lì che si è inceppato il credito ed è lì che si distruggono i posti di lavoro europei. Sarebbe una folle compromissione del sacro mandato della lotta all'inflazione con altre profane priorità, di natura industriale, occupazionale o nazionale? No, è semplicemente quello che sarebbe necessario a riattivare il funzionamento della politica monetaria se non prevalessero considerazioni legate agli interessi diversi dei governi nazionali. In alternativa la Bce dovrebbe lanciare un programma di prestiti a lungo termine per le banche finalizzato al solo credito all'economia.
Certo ci sono dubbi tecnici a proposito sia di un taglio dei tassi di riferimento, sia di una maxi-operazione di credito all'economia (Ltro). Nel primo caso, l'obiezione più comune è che scendere fino al pavimento dei tassi farebbe temere che la mossa successiva possa solo essere verso l'alto e ciò creerebbe instabilità. Nel secondo caso, che un nuovo Ltro interferirebbe con la revisione della qualità degli attivi bancari e con gli stress test indispensabili a varare l'unione bancaria. Non credo siano obiezioni del tutto giustificate. Ma purtroppo fanno parte del dibattito interno alle banche centrali, che ormai – significativamente - riproduce le divisioni tra i governi nazionali e che ormai ha infiltrato le radici nelle opinioni pubbliche.

Purtroppo le strade prive di costi politici non funzionano. Compresa la «forward guidance» - la promessa verbale di mantenere bassi per molto tempo i tassi d'interesse – che non ha modificato la segmentazione del mercato europeo. Non ha cambiato le condizioni di domanda e di offerta del credito. Non ha nemmeno potuto evitare che il livello del tasso di cambio perdesse contatto con la realtà dell'economia. Si tratta in un certo senso di un'altra forma di inerzia. Non è una posizione facile quella del governatore Draghi. Bisognerà leggerne in filigrana le parole oggi dopo la riunione del consiglio, pur sapendo che eventuali silenzi corrispondono in realtà ai «vuoti ingombranti» della carente risposta politica dei governi europei.

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