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Il bazooka può creare l’embrione degli eurobond

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LE RIFORME IN EUROPA

Il bazooka può creare l’embrione degli eurobond

Le misure di Quantitative easing europeo della Bce segnano sotto vari profili una svolta storica dell’Eurozona la cui banca centrale assume un potere e una responsabilità crescenti. Ciò dimostra, purtroppo e nel contempo, che le altre istituzioni europee, dove anche gli Stati membri sono presenti, non hanno saputo svolgere il loro ruolo per portare l’Europa unita verso un assetto che sia quanto meno confederale. Per questo, a fianco della rassicurazione proveniente dal Qe, non si può nascondere, la preoccupazione sul futuro dell’Europa e perciò bisogna incalzare i responsabili politici affinché adempiano pienamente al loro ruolo. A tal fine due aspetti del Qe meritano di essere considerati, oltre a quello monetario-finanziario già molto commentato, per supportare (o per smentire) questa tesi: quello politico, quello economico.

Profilo politico. Draghi, sia pure con una straordinaria capacità professionale, ha dovuto svolgere un ruolo politico trattando in anticipo le misure con la cancelliera Merkel e aprendo una problematica che potrebbe avere strascichi anche giudiziari considerata soprattutto l’inclinazione al proposito dei tedeschi. È ben vero che Draghi ha ottenuto l’unanimità dentro il consiglio delle Bce nella valutazione che le misure di Qe sono di politica monetaria per combattere la deflazione. Ma poi ci sono stati dei distinguo (che si colgono nella complessità del comunicato e delle risposte di Draghi) sulla opportunità di agire ora, nella misura scelta, nelle modalità attuative. In ogni caso il Comitato esecutivo e il Consiglio della Bce avranno un ruolo centrale nel far funzionare una politica molto complessa nell’acquisto dei titoli di Stato, dei titoli delle istituzioni europee (Esm, Bei, ecc.), di covered bond e asset baked securities e di altro ancora. Infine il Qe può andare ben al di là del calcolo iniziale di 1.100 miliardi di intervento raggiungibili fino a settembre 2016 in quanto la misura resta aperta. Infatti Draghi ha detto che l’intervento proseguirà finché la dinamica dei prezzi non si sarà ricollocata su un sentiero che tende al 2%. Con l’inflazione prevista nei prossimi anni, questo potrebbe portare addirittura ad un raddoppio dell’intervento!

Draghi è stato costretto a queste scelte dalle carenze della politica. La gradualità con la quale ha agito dall’inizio del suo mandato nel novembre 2011 non è dovuta solo ai freni tedeschi ma anche al fatto che ogni misura da un lato seguiva ad un inadempimento di altre istituzioni europee e dall’altro si rendeva necessaria per evitare danni irreparabili come quello della rottura dell’euro corso nel 2012. Nel contempo Draghi ha cercato di incalzare le istituzioni europee a fare la loro parte. Lo dimostrano vari eventi dove spicca il documento programmatico “Verso un’autentica Unione economica e monetaria”, elaborato dai presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea, dell’Eurogruppo e della Bce a partire dal giugno del 2012 (cioè poco prima del famoso discorso londinese di Draghi nel quale egli affermo che la Bce avrebbe fatto «tutto quanto necessario» per salvare l’euro). Un progetto approvato in tutte le sedi istituzionali europee che procede troppo lentamente soprattutto per quanto riguarda un’adeguata capacità di bilancio per la Uem nell’ambito di un quadro di meccanismi di bilancio integrati tra gli Stati membri e di accordi contrattuali con le istituzioni Ue per la realizzazione delle riforme interne.

Profilo economico. Da questo punto di vista la domanda principale è se il Qe rilancerà la crescita economica e l’occupazione. Tutti speriamo che la sequenza degli eventi sia quella che sottotraccia ha indicato Draghi. Ovvero che l’acquisto di titoli di Stato sotto la direzione del Sistema europeo di Banche centrali e con il rischio per l’80% gravante su ogni singola banca centrale nazionale, dovrebbe liberare risorse presso le banche commerciali che in tal modo dovrebbero aumentare il credito a economia, imprese e famiglie. A tal fine dovrebbe contribuire anche la riduzione dello spread applicato alle prossime sei immissioni di liquidità previste nel programma (Tltro) di prestiti alle banche a condizione che le stesse li girano all’economia. Draghi nella sua presentazione ha fatto una valutazione complessiva della situazione economica dell’Eurozona rilevando come il miglioramento delle condizioni di finanziamento dell’economia con una prospettiva temporale lunga, il basso prezzo del petrolio e la ripresa dell’economia mondiale dovrebbero favorire la ripresa europea che tuttavia sconta ancora la necessità di aggiustamenti fiscali e strutturali nei singoli Paesi con riferimento ai quali non ci devono essere rallentamenti. Molto indiretto è invece il riferimento all’effetto di aumento della competitività internazionale europea per l’indebolimento dell’euro che è sceso ai livelli del 2003 e che, se continua così, arriverà presto alla parità con il dollaro. Non è poco per un area dove la domanda interna è fiacca.

In altre parole Draghi intravede la ripresa europea ma smorza gli entusiasmi che al tal fine bastino le misure della Bce. Concordiamo e quindi rinnoviamo la nostra istanza che si dia corso al più presto al programma Juncker (al quale si è riferito anche Draghi segnalando l’urgenza di attuazione) per varare davvero tre nuovi “compact”: quello industriale, quello infrastrutturale, quello tecnoscientifico. L’acquisto da parte della Bce e delle Banche centrali nazionali di titoli di istituzioni europee (Esm ed Eib) e di titoli di stato limitatamente al 20% del totale con solidarietà nel rischio condivisa è stato visto dai più come un vulnus all’unità del Sistema europeo di Banche centrali. Potrebbe però essere letto anche come una premessa per il varo di quegli eurobond senza i quali l’Eurozona non potrà mai fare una politica fiscale, di bilancio e di investimenti (pubblici) che è essenziale per l’integrazione sia politica che dell’economia reale. Cosa impedirebbe infatti in prospettiva alla Bce di aumentare gli acquisti di obbligazioni dello Esm e della Bei per finanziare massicciamente loro tramite (se avessero più coraggio innovativo) i grandi progetti di investimenti europei? A tali fini ci vorrebbe però un ritorno in campo di una politica europea vera e forte che, se rimarrà assente, si assumerà anche la responsabilità di una eventuale sindrome giapponese nella quale l’Eurozona potrebbe cadere.

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