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Questo articolo è stato pubblicato il 18 maggio 2012 alle ore 08:42.

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Prima di leggere Megachange – The world in 2050, il saggio curato da Daniel Franklin e John Andrews per l'Economist, ero molto preoccupato: nel 2050 mia figlia Anna, nata meno di un mese fa, avrà 38 anni e da ansioso neofita della paternità mi interrogavo in che mondo avrebbe vissuto. Megachange mi ha rassicurato: vivrà meglio di noi. Suona molto panglossiana, questa previsione da migliore dei mondi possibili.

Una sventagliata di ottimismo eccessivo, visto che intorno sembra che tutto stia per crollare. Ma a differenza del dottor Pangloss, ideato da Voltaire in Candido per confutare l'ottimismo a oltranza del filosofo tedesco Leibniz, quelli dell'Economist sono solitamente noti per tenere i piedi saldamente per terra.
Nessuno può pensare che la tradizionale austerità e il tipico rigore del settimanale britannico siano stati contagiati dalla frivola e spensierata filosofia dell'happy-go-lucky.

Eppure, si legge nell'introduzione, Megachange è un libro razionalmente ottimista o, perlomeno, fiducioso che con le scelte politiche e strategiche corrette sia davvero possibile un mondo migliore, anche al netto di quegli eventi isolati e inaspettati capaci di cambiare improvvisamente il corso delle cose che lo studioso Nassim Taleb definisce «cigni neri».
A leggere i venti saggi contenuti in Megachange, nel 2050 il mondo sarà più ricco, più sano, più connesso, più sostenibile, più produttivo, più innovativo, più istruito, con meno diseguaglianze tra ricchi e poveri e tra uomini e donne e con maggiori opportunità per miliardi di persone. Ci saranno troppe persone, è vero. Poco cibo per sfamare tutti e un pianeta più caldo, ma anche più posti di lavoro, alternative alimentari e una soluzione possibile per il surriscaldamento terrestre (anche se la soluzione, secondo la previsione di Megachange, sarà la scoperta della vita in altri pianeti).

Gli Stati oggi sembrano Leviatani pronti a crollare sotto il peso di costi sociali insostenibili e di popolazioni sempre più anziane, ma gli analisti dell'Economist prevedono un'alternativa più rosea per il futuro delle nazioni, grazie a una serie di riforme lungimiranti, da attuare adesso, in grado di contenere la spesa per le pensioni e per la sanità. Gli Stati del 2050 potrebbero essere più in forma, più efficienti, più smart rispetto a quelli di oggi.
Come ha scritto Adrian Wooldridge, «la distruzione creativa di cui parlava Joseph Schumpeter ci sta portando in un posto migliore». Siamo tutti convinti di vivere in un periodo di particolare turbolenza, ma secondo l'economista austriaco molto amato dall'Economist c'è una precisa logica dietro questa turbolenza: gli imprenditori generano ininterrottamente innovazioni capaci di creare un vantaggio temporaneo rispetto ai concorrenti. Queste innovazioni creano scompiglio perché i concorrenti provano ad adeguarsi ai nuovi business e le istituzioni faticano ad adattarsi alla nuova realtà. Ma è una turbolenza positiva, che spiega la nostra epoca di cambiamento perpetuo.

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