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Via all' «Internet delle cose». Con molte promesse e qualche…

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LE MACCHINE CHE SI PARLANO, VIA CELLULARE

Via all' «Internet delle cose». Con molte promesse e qualche trappola

È buono o cattivo il telefonino maggiordomo? Bella idea quella di usare la Sim per dare corpo e anima al mondo interconnesso che verrà. Ma le incognite non mancano. Chi ci garantirà il buon uso dell'“Internet delle cose”, cioè di quelle schedine del cellulare che fanno parlare i contatori della luce e del gas con i gestori e chissà con chi? Come impedire al nostro frigorifero di usare gli ordini automatici della birra al negozio on-line (pochi anni e sarà realtà) per profilare la nostra esistenza al servizio di chissà cosa? E chi ci garantirà che la nostra automobile con Internet geolocalizzato, capace di autoprogrammare la manutenzione grazie al monitoraggio remoto dei “parametri vitali”, non si trasformi in un poderoso strumento di controllo di massa? E - vista da un altro angolo - chi assicurerà lo sviluppo di imprese e business all'insegna della concorrenza impedendo la creazione di sistemi “chiusi” dominati da qualcuno come Apple, Amazon, Google o magari un pool mondiale di operatori cellulari ad hoc? Questione di regole, non solo tecnologiche. Insomma di buona gestione, anche da parte delle istituzioni.

Gli altolà
Ecco il senso del seminario promosso dalla fondazione Ugo Bordoni sul nascente, e sicuramente immenso, mondo delle telecomunicazioni “machine to machine”. Con qualche che utile altolà, salvo il rischio di sbagliare intervento, finendo per ostacolare anziché assecondare la buona gestazione. Una regolazione nazionale? Se ne è parlato, nonostante l'implicito errore di manovra. Come non capire che solo una regolazione sovranazionale, come minimo europea, può creare standard credibili e la necessaria e totale interoperabilità non solo delle tecnologie ma anche (le due cose sono intimamente legate) delle regole.

La nostra Autorità per le comunicazioni ha promosso un'indagine conoscitiva. Nei prossimi mesi vorrebbe imbastire un quadro di regole. Alessandro Luciano, presidente della fondazione Bordoni, entra a gamba tesa. Bisogna far presto, prestissimo, dice.

L'assalto
Le reti intelligenti del futuro stanno nascendo. Le città intelligenti (smart cities) sono alle porte. L'Italia si crogiola nei ritardi sulla larga banda, ma intanto l'invasione planetaria delle super-sim è già in atto. I consulenti della Gartner ci dicono che entro quest'anno solo nel settore delle smart cities gli oggetti connessi (un po' con le reti fisse, moltissimo con quelle cellulari) per governare dall'illuminazione al traffico, dalle reti di distribuzione al sistema sanitario, saranno un miliardo e 100 milioni. Quasi come l'intera popolazione cinese, oltre un settimo degli esseri umani del pianeta. E via così: all'alba del prossimo decennio potrebbe esserci nel mondo quasi una Sim “machine to machine” per ogni abitante. Affascinante. Inquietante. Sicuramente dirompente in termini di nuovi business.

Chi è già partito
Urge ”qualche riflessione sulle politiche delle telecomunicazioni e sul contesto regolatorio” incalza Alessandro Luciano riferendosi “in particolare alle tematiche dell'accesso al mercato mobile all'ingrosso, alle politiche di numerazione, alle politiche dello spettro radio, alla privacy e alla security, all'accesso condiviso ad informazioni di pubblica utilità”. “Perché i dispositivi M2M - rimarca anche lui - sono pervasivi, possono trasmettere dati legati alla salute, gli spostamenti, i consumi, le personali propensioni agli acquisti. Rischi reali, per cui devono essere previste appropriate contromisure”. Scadenze concrete incombono. Ad esempio quella legata al servizio di emergenza europeo eCall che dal marzo 2018 “obbliga le case automobilistiche ad inserire un dispositivo che comunichi immediatamente un avvenuto incidente”. Un bel maggiordomo telematico, necessariamente indiscreto.

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