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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2013 alle ore 17:20.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2013 alle ore 18:05.

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«Mi spiega che criterio usa Prandelli per il codice etico?». «Prandelli confonde l'etica con l'estetica». Cinquant'anni di carriera non si riassumono in un tweet. Ma l'ultimo "cinguettio" di Franco Rossi, pubblicato neppure un mese fa, dice qualcosa sul giornalista sportivo stroncato a 69 anni da un male che lo inseguiva da tempo. Chiaro, semplice, ironico. Perché, avrebbe scherzato lui, «per la verità sono disposto a tutto. Anche a scrivere la verità».

Fiorentino di nascita, Rossi era cresciuto (giornalisticamente) nella redazione torinese di Tuttosport. Il debutto come cronista risale al 1965. Dieci anni dopo si trasferisce a Milano, dove lavora anche come corrispondente di Repubblica fino al 1987. Una parentesi al Corriere dello Sport, con il grado di caposervizio, prima del salto a quello che resterà per molti lettori il suo quotidiano: il Giorno. Rossi scrive di sport a 360 gradi, come caposervizio prima e caporedattore poi, dalla scrivania che era stata di Gianni Brera. «Amato, inimitabile, unico Maestro, l'unico» ricordava lui, regalando la maiuscola al padre del cronismo sportivo italiano, il gran Giuan che ha forgiato sulle sue cartelle generazioni di firme di atletica, ciclismo e soprattutto calcio. Lo sport che più di altri si imprime nel cuore e nelle corde professionali di Rossi. Nel '97 l'addio al Giorno, come ultimo responsabile delle pagine sportive. E' solo l'inizio di una seconda giovinezza. Rossi si innamora della Tv, lavorando a Telenova dal 1999. Nel frattempo interviene come commentatore a Controcampo (dal 2006 al 2008) e segue come inviato per il quotidiano nipponico Yomiuri Shimbun l'infausta avventura azzurra della Coppa del Mondo di Korea e Giappone del 2002.

Il calcio. Quello italiano, del «campionato più bello del mondo» che diventava anno per anno meno bello. Quello internazionale, seguito con taccuino e microfono nella rassegna interminabile di coppe e trofei intercontinentali. Rossi ha incassato le onorificenze più ambite nella cronaca sportiva, come il premio Coni e il premio Brera. Due i libri pubblicati, tra le migliaia di righe incolonnate nel quotidiano perché le scadenze «sono il vero stimolo del giornalista» : «Derby a presto» e «Perda il migliore». A proposito di scadenze: Rossi aveva intuito il potenziale del web e non imbarazzava a usare i nuovi media, da Twitter alla suo sito personale. Nel suo vademecum professionale, citato sopra, sosteneva che «in Giornalismo, come in amore, gli scritto volano e le parole restano». Le sue sono rimaste. Dietro allo schermo, nelle pagine dei suoi quotidiani e per le vie di Milano.

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