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svalutazione competitiva con le parole

Euro-dollaro: ecco come le banche centrali combattono la «guerra delle valute» nell’era dei tassi a zero

Un tempo c’erano le svalutazioni competitive. Taglio dei tassi e via. I Paesi affrontavano in questo modo le crisi finanziarie. Lo ha fatto ad esempio in modo molto rapido la Gran Bretagna nel 2008 quando ha svalutato la sterlina del 30%. Oppure nel 2008 la Svezia che ha svalutato la Corona del 50% sul dollaro e del 30% sull’euro. E lo hanno fatto anche gli Stati Uniti dal 2009 al 2014 prima portando i tassi a 0 e poi lanciando tre manovre di iniezione monetaria (quantitative easing). L’effetto è stato immediato. Il dollaro si è svalutato violentemente sulle principali divise, euro compreso. Il cambio euro/dollaro ha viaggiato per lungo tempo intorno a 1,4 rappresentando, difatti, una forte convenienza per gli europei che viaggiavano negli Usa ma molto meno per le imprese europee che invece dovevano esportare le proprie merci e i propri euro molto cari.

In questa guerra si è inserita - dopo averla subita quasi senza reagire - anche la Banca centrale europea che ha lanciato il 9 marzo del 2015 il quantitative easing. L’effetto, quasi scolastico, è stato immediato. L’euro si è violentemente svalutato sul dollaro portandosi a 1,04 dollari, circa il 40% in meno rispetto a un anno prima. Questa mega svalutazione competitiva all’interno dell’Eurozona ha dato nuova linfa alle imprese dell’area che hanno riportando trimestrali molto positive, a differenza (manco a dirlo) di quelle statunitense che a fronte di una rivalutazione del dollaro sono tornate a soffrire.

I dati ci dicono ancora una volta che il valore di una moneta conta e come, così come l’arma della svalutazione competitiva. Adesso però siamo entrati in una situazione di stallo, in cui il cambio euro/dollaro si muove al rialzo e al ribasso in cerca di una direzione precisa.

Dopo che è arrivato a 1,04 gli Usa hanno iniziato a preoccuparsi. E sono arrivate dai governatori della Federal Reserve frasi di allarme sulla forza del dollaro. A quel punto il dollaro è tornato a svalutarsi e l’euro a risalire in un balletto in cui la comunicazione sta giocando un ruolo sempre più rilevente.

Quando l’euro si riavvicina a 1,15 dollari arrivano frasi dalla Bce che tendono a svalutare l’euro. Così come quando l’euro scende sotto 1,1 partono frasi ad orologeria dagli Usa per evitare un ulteriore rafforzamento del dollaro.

La guerra moderna delle valute si combatte così, a colpi di comunicati stampa. Nelle ultime settimane questi movimenti si sono visti in modo eclatante. A metà maggio l’euro si stava rivalutando troppo arrivando a sfiorare quota 1,15 dollari. Il movimento rialzista si è arrestato dopo che dalla Bce è scoccata una freccia. Il membro del consiglio, Benoit Coeuré, ha annunciato il 19 maggio che la Bce è disposta ad aumentare gli acquisti di titoli di Stato, cioè a potenziare l’arma svalutativa del Qe: «Aumenteremo gli acquisti perché siamo consapevoli della caratteristica stagionalità dell'attività di mercato del reddito fisso, con il tipico periodo di vacanza di luglio-agosto che è segnato in particolare da minore liquidità». La reazione è stata immediata: l’euro è sceso immediatamente e nelle sedute successive fino a 1,08 dollari (27 maggio).

Tra una dichiarazione e l’altra non vanno poi sottovalutati i dati macro da ambo le sponde dell’Oceano. Dati macro positivi tendenzialmente tendono a favorire il cambio della rispettiva area. E dall’Europa stanno continuando ad affiorare dati positivi, segnali di crescita economica. Non ultimo quello “shock” del 3 giugno in cui il governatore Mario Draghi ha annunciato una revisione al rialzo delle stime di inflazione per il 2015 e per il 2016. Questo dato - che si sta riflettendo a cascata sui mercati finanziari spingendo in alto i rendimenti dei bond governativi dell’Eurozona e in basso le Borse interrompendo quel fenomeno che è stata chiamato dagli esperti “Qe-trade”, ovvero rialzo delle Borse europee accompagnato dalla svalutazione dell’euro.

Questo dato ha dato una nuova scossa all’euro che poi ha avuto un’altra scossa dopo le dichiarazioni del Fondo monetario internazionale del 4 giugno: «Gli Usa non alzino i tassi nel 2016». Il dollaro si è svalutato con l’euro tornato scolasticamente a 1,13 in poche sedute.

Dopodiché venerdì 5 giugno sono arrivati nuovi dati macro a “guastare” le frasi del Fmi. L’occupazione negli Usa è cresciuta più del previsto, battendo nettamente le attese. Questo ha alimentato nuovamente le aspettative di un rialzo dei tassi negli Usa a settembre (al momento questa ipotesi è data con probabilità al 60%). Di conseguenza l’euro è tornato a scendere (e il dollaro a rafforzarsi) fino a 1,10.

Non finisce qui. Ci ha pensato ieri il presidente degli Usa Barack Obama a dare un colpettino svalutativo al dollaro lamentandosi nel corso del G-7 in Germania (secondo quanto riferito da un funzionario francese) della forza eccessiva del dollaro. L’euro è ripartito subito tornano a quota 1,13 ,guadagnando due figure in una seduta.

A questo punto, nel gioco delle “dichiarazioni svalutative” la palla passa alla Bce. Quando arriverà la prossima frase per riportare un po’ più in giù l’euro? Forse non c’è da aspettar molto.

Nell’era dei tassi a 0, è rimasta solo un’altra arma per svalutare il cambio: le parole.

twitter.com/vitolops

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