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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2014 alle ore 18:09.

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Lo stabilimento Lockheed Martin. (Reuters)Lo stabilimento Lockheed Martin. (Reuters)

Il suo sviluppo sarà ancora lungo e irto di difficoltà tecniche, il suo costo definitivo non è ancora pienamente valutabile ma nonostante tutto il cacciabombardiere l'F 35 ha già raggiunto un successo strategico senza precedenti nella storia dell'aviazione e dell'industria militare: assicurare a Lockheed Martin il monopolio sul mercato degli aerei da combattimento occidentali.
Un monopolio che per l'azienda texana significa in prospettiva trilioni di dollari considerato che i jet fighter sono i mezzi militari più costosi e che tra dieci anni le forze aeree di quasi tutti i Paesi occidentali disporranno tutte solo (o quasi) di questo velivolo.

Dopo i continui accorpamenti delle aziende aeronautiche statunitensi, che hanno visto l'acquisizione di marchi quali Grumman, Mc Donnel Douglas e Northrop, il settore è dominato oggi dai colossi Lockheed Martin e Boeing ma la decisione del Pentagono di acquisire l'F-35 rischia di far chiudere i battenti a parte degli stabilimenti aeronautici militari dell'azienda di Seattle, a cominciare dallo storico stabilimento di Wichita in Kansas (dove nella Seconda guerra mondiale venivano prodotte le Fortezze Volanti B-29 ) che cesserà ogni attività a fine anno per compensare i tagli al bilancio del Pentagono.
Concepito come Joint Strike Fighter, cioè un velivolo da combattimento comune a tutte le forze aeree statunitensi (US Air Force, Navy e Marines), l'F-35 verrà prodotto in tre versioni differenti sostituendo di fatto tutti i velivoli oggi in servizio negli USA: F-15, F-16, F/A-18, A-10, AV-8B.

Per Boeing significa l'uscita dal settore degli aerei da combattimento entro pochi anni quando verranno esauriti gli ordini in atto per l'export di F/A-18 e F-15S. Chris Chadwick, presidente di Boeing Defense, Space & Security, conta di poter tenere aperte le linee produttive al massimo fino al 2019 con le attuali commesse per poi puntare solo sull'assistenza e l'aggiornamento dei velivoli in servizio.
Già l'anno scorso le entrate di Boeing dal settore Difesa sono state di 88,6 miliardi di dollari (pari al 38 per cento del fatturato dell'intero gruppo) registrando in dieci anni un crollo del 56% rispetto alle entrate da commesse militari del 2003.

L'F-35 per tutte le forze armate Usa non solo lascia aperti molti interrogativi tecnici sulle reali capacità del velivolo (sulle portaerei la Marina impiega da decenni bimotori, più affidabili dei monomotori come l'F-35) ma significa che per la prima volta nella storia dal 2020 gli Stati Uniti potranno contare su un unico fornitore di velivoli da combattimento, un monopolista i cui prodotti diverrebbero di fatto privi di alternative con i costi relativi ben più ardui da negoziare in assenza di concorrenza.

Nei prossimi anni il monopolio di Lockheed Martin potrebbe diventare totale in tutto l'Occidente e, come Boeing, usciranno dal mercato anche tutte le aziende europee oggi in grado di progettare, produrre ed esportare aerei da guerra in concorrenza con quelli “made in Usa”.

L'adesione da parte di molti Paesi alleati degli Stati Uniti al programma F-35 ha già determinato il taglio al programma Typhoon del consorzio europeo Eurofighter, velivolo italo-anglo-tedesco-spagnolo che cesserà la produzione entro il 2018, salvo nuove commesse. Entro la fine del decennio cesserà presumibilmente anche la produzione del francese Dassault Rafale (finora venduto solo all'India) a dello svedese Saab Gripen il cui ultimo successo ha riguardato 36 velivoli destinati al Brasile.
Di fatto tra 5 anni in Europa non produrremo più aerei da combattimento e dovremo rivolgerci per forza di cose a un unico prodotto e a un unico produttore statunitensi per il quale le nostre aziende potranno eventualmente fungere da sub-fornitore.

Un allarme lanciato quasi un anno or sono da Tom Enders, all'epoca ceo del colosso franco-tedesco-spagnolo (Paesi che infatti non acquisiranno l'F-35) Airbus che ammonì l'Europa, costretta in futuro a comprare negli Usa il prossimo aereo da combattimento o, in alternativa, a rivolgersi a Russia, Cina o «a qualche Paese emergente dell'Asia». Un risultato che certo stride con i continui proclami allo sviluppo della difesa comune europea.

Del resto la determinazione statunitense a imporre il monopolio di Lockheed Martin in tutto il mondo occidentale e filo-occidentale trova conferme anche nell'aggressivo marketing posto a sostegno dell'F-35 in cui Paesi come Israele, Giappone e Corea del Sud vengono incentivati ad acquisire il velivolo con compensazioni industriali e contratti per produrre parti e componenti non dissimili da quelli concessi agli 8 partner del programma tra cui Italia, Olanda, e Gran Bretagna, che si sono sobbarcati gli oneri di sviluppo dell'F-35.

Al di là del dibattito su costi e capacità del velivolo, l'F-35 è un “cavallo di Troia” che rischia di spazzar via ogni forma di concorrenza nel mercato dei jet fighter.

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