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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2012 alle ore 07:57.

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Vent'anni fa, proprio in questa stagione, si stava preparando l'attacco speculativo che avrebbe affondato Lira e Sterlina, facendole uscire (temporaneamente) dallo Sme. Anche in quell'occasione fu l'intransigenza della Germania o, meglio, della Bundesbank, a determinare la rottura.

E se anche allora fu l'eccessivo livello dei debiti (quello privato in Gran Bretagna, pubblico in Italia) ad aver generato la crisi, l'ostinazione della Bundesbank a non abbassare i tassi d'interesse fece precipitare la situazione. Vent'anni fa la sofferenza sui mercati durò pochi mesi e tutto si concluse con lo shock di settembre. In questa crisi, il tormento dura da troppo tempo e quasi ci si augura che lo spread di Italia e Spagna voli a mille pur di porre fine a una lenta agonia.
Ci sono solo due soluzioni: o la Bce stampa moneta e si mette a comprare aggressivamente titoli di Stato dei Paesi a rischio, oppure si disfa al più presto l'euro: con la conseguenza che, data la diffidenza montata in tutta quanta l'Europa e visto il risorgere di pericolosi nazionalismi, sarà difficile non solo tornare a un sistema di cambi flessibili (Sme), ma addirittura a una convivenza com'era ai tempi della sola Unione europea.

L'intervento della Bce è ora l'unica, sottile speranza, considerato che il fondo Esm, sub judice dalla Corte di Karlsruhe, rischia di non essere accolto in Germania o di venir demandato alle decisioni di un referendum dall'esito assai incerto: probabilmente negativo, vista la crescente ostilità dei politici e della popolazione tedesca verso il mantenimento dell'Eurozona, tanto più dopo il mezzo declassamento di Moody's.
Ma anche un intervento "alla maniera della Fed" da parte della Banca centrale europea, ossia un quantitative easing, è cosa piuttosto improbabile, poiché significherebbe una rottura con la Bundesbank, quindi ancora verso la Germania. Anche la diffidenza per un sistema euro, che non può stare in piedi a queste condizioni, sta crescendo nei Paesi periferici al punto che, secondo indiscrezioni riportate da alcuni banchieri, la Spagna avrebbe già preso contatti con il solo FMI per studiare le forme di un diverso salvataggio.

Come dire che è meglio cercare protezione sotto l'ala di Washington e della Fed, piuttosto che sotto l'inefficiente ombrello di Bruxelles e di Francoforte.
È probabile che Madrid voglia intraprendere pure vie "ufficiali" con i leader dell'Eurozona, come parrebbe di capire dalla richiesta di una linea di credito da 28 miliardi (citata dal giornale «El Economista») e dal giallo della dichiarazione congiunta con Francia e Italia. Quanto a noi, è auspicabile che il governo Monti inizi a studiare una soluzione che coinvolga il meno possibile le inadeguate istituzioni europee. Riccardo Barbieri, capo economista di Mizuho International, propone di combinare le restanti forze del fondo Efsf (poco più di 100 miliardi dopo il pieno salvataggio delle banche spagnole) a quelle di un fondo tutto italiano nel quale saranno messe le migliori attività finanziarie e immobiliari dello Stato (300 miliardi circa). Questa realtà, che potrebbe essere partecipata anche da alcuni fondi sovrani, emetterebbe quindi dei covered bond sul mercato a rendimenti decisamente più bassi di quelli che adesso pagano i BTp.

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