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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2012 alle ore 06:42.

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Fabio Landuzzi
Quando il debitore non è sottoposto a una procedura concorsuale – e come regola generale – le perdite su crediti sono deducibili quando risultano da elementi «certi e precisi». Per l'amministrazione finanziaria la deduzione fiscale richiede il carattere definitivo della perdita escludendo la rilevanza di ogni elemento valutativo o meramente presuntivo (risoluzione 9/656 del 1979). Viene introdotto un concetto di «inevitabilità» della perdita (risoluzione 9/517 del 1980), che deve essere analiticamente comprovata da documentazione che evidenzi il mancato realizzo del credito, salvo il caso di crediti commerciali di modesto importo – da valutarsi in relazione all'entità del portafoglio complessivo dell'impresa – per i quali si può prescindere da rigorose prove formali (risoluzione 124 del 1976). Occorre chiarire che non è la perdita, in sé, che deve essere certa e precisa, bensì i fatti da cui essa viene desunta; d'altronde, anche una procedura concorsuale non può di per sé dare una certezza assoluta alla perdita, bensì un'altissima probabilità del suo realizzarsi. E la stessa amministrazione, nella risoluzione 9/656 del 1979, ammette possibili recuperi dei crediti ritenuti irrealizzabili, che configurerebbero sopravvenienze attive per l'impresa.
Il riferimento poi all'entità del credito come fattore di rilievo per misurare l'idoneità delle azioni poste in atto dal creditore e per parametrare la documentazione richiesta per la deduzione fiscale della perdita, introduce il concetto più ampio della economicità del comportamento del l'impresa. A questo riguardo, la giurisprudenza tende a riconoscere la legittimità di scelte di convenienza economica dell'impresa (Cassazione, 23863/2007). Il principio (alcuni spunti interessanti possono trarsi dalla sentenza 30/2007 della Ctr Piemonte) è che quanto maggiore è la somma da incassare, tanto più incisive dovranno essere le azioni approntate dall'impresa per il suo recupero o, in ultima analisi, per documentare la perdita. Quando invece il costo del recupero potrebbe superare addirittura l'importo del credito, tenendo conto delle dimensioni del l'impresa, del volume e del numero dei suoi crediti, non è necessario dover avviare un'azione giudiziaria per dimostrare la certezza e la precisione della inesigibilità del credito. Vi sono poi alcuni fatti che, per tali tipi di crediti, possono suffragare anche in assenza di incisive azioni legali l'esistenza delle condizioni di certezza e precisione, ad esempio: l'invio infruttuoso di diffide e intimazioni ad adempiere; il protesto dei titoli; la notifica infruttuosa di atti di precetto; la documentata mancanza di beni mobili o immobili nella disponibilità del debitore; la fuga o la latitanza del debitore; la chiusura dei locali dell'impresa debitrice con irreperibilità del debitore.
La Cassazione (sentenza 17220/2006) ha ritenuto che elementi certi e precisi possono provenire anche da pignoramenti negativi, ancora meglio se accompagnati da pareri dei legali che sconsigliano l'adozione di ulteriori azioni in ragione della insolvenza del debitore tenuto conto dell'assenza conclamata di un patrimonio minimamente idoneo ad assolvere al suo obbligo di pagamento (Ctp di Parma, sentenza 91/2010). Le Entrate hanno invece assunto con la risoluzione 18/2009 una posizione di chiusura verso la sufficienza del pignoramento infruttuoso a configurare di per sé gli elementi certi e precisi richiesti per la deduzione della perdita; si tratta però di una risoluzione che aveva per oggetto il caso particolare di crediti vantanti verso Asl.
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