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Il paradosso dei leader quarantenni

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POLITICA 2.0 - ECONOMIA & SOCIETÀ

Il paradosso dei leader quarantenni

Il paradosso dello scontro nei partiti sulle pensioni è che proprio ora che la scena è dominata da giovani leader, dal Pd alla Lega fino ai 5 Stelle, nessuno prova a intestarsi la rappresentanza politica delle generazioni dai 18 ai 45 anni ma c’è un affollamento ad accaparrarsi quella degli over 60 anni.
Si capisce bene come mai i pensionati abbiano un tale appeal su tutti i partiti: sono tanti, 18 milioni, sono una “corporazione” organizzata nei sindacati di cui sono i principali iscritti, si presentano puntuali a ogni appuntamento con le urne e votano. Insomma, il contrario dei giovani che non sono organizzati, diffidano dei sindacati e hanno tassi di astensionismo elevati. È per questa ragione, quindi, che i “senior” sono un bacino politico consistente, attivo e condizionano, come si vede, le politiche del Governo e le scelte dei partiti. Perfino ora, in epoca post-rottamazione e con giovani leader sulla scena, gli scontri si concentrano sul tema della previdenza solo nel senso dei diritti acquisiti non di quelli che le giovani generazioni, forse, non acquisiranno mai. E non c’è nessuna forza politica che se ne faccia carico e che abbia la voglia di intestarsi questa rappresentanza nonostante un premier quarantenne, un giovane leader dell’opposizione come Matteo Salvini e la giovanissima classe dirigente dei 5 Stelle. Insomma, invece di incalzare Matteo Renzi sulla necessità di riequilibrare la spesa pubblica a favore delle generazioni più giovani - incarnate anche anagraficamente dalle loro leadership - tutti chiedono il rispetto pedissequo della sentenza della Consulta e poco importa della sostenibilità previdenziale. Poco importa, cioè, di fare una battaglia che garantisca ai trentenni o quarantenni di oggi una futura pensione con un reddito adeguato, come scrive la Corte nella sua sentenza di “condanna” tutelando solo i pensionati attuali.

Ed è dunque paradossale vedere soprattutto il Movimento 5 Stelle combattere per i diritti acquisiti di chi ha da tre volte in su la pensione minima invece di raccontare ai giovani la verità su quanto sarà “minimo” il loro assegno. Stupisce nei grillini perché sono loro, più di tutti, che nel 2013 hanno raccolto i consensi più ampi tra le giovani generazioni e dovrebbero, quindi, dargli una voce che nessuno gli ha mai dato. Guardando i dati di Itanes, alle elezioni di due anni fa, il 44% dei giovani dai 18 ai 24 anni ha votato 5 Stelle, il 37,7% dai 25 ai 34; il 28,8% dai 35 ai 54. Ed è interessante confrontare questi dati con il Pd di Bersani che aveva raccolto gran parte dei voti tra le generazioni più anziane dai 55 agli over 75 (oltre il 30% circa) mentre il Movimento copriva appena il 12% della fascia di età dai 65 anni in su. In sostanza, la maggioranza tra diciottenni e quarantenni ha dato la delega politica a Grillo e al Movimento che però risponde con il reddito minimo invece di mettere il dito nella piaga previdenziale del futuro.

La domanda che i 5 Stelle dovrebbero fare a Renzi - e non fanno - è quali saranno i diritti acquisiti dei giovani. E se mai ci saranno. Ma lo stesso premier rottamatore dovrebbe essere il primo a porre la questione sul tavolo. Se prima i presidenti del consiglio, i ministri e i vertici dei partiti incarnavano anche anagraficamente le fasce più anziane, oggi il salto generazionale sembra non essere servito. E quello che è più spiazzante è che senza un investimento - anche e soprattutto -sulla rappresentanza politica di una generazione, non c’è strategia sulla crescita che tenga. Insomma, tutte le ricette del Governo e dell’opposizione sulla ripresa sono una chiacchiera se il tema sono solo i 18 miliardi per pagare il blocco dell’indicizzazione anche delle pensioni superiori a sei volte il minimo. Quando tra vent’anni nessuno dei giovani di oggi incasserà quelle cifre. E i diritti acquisiti di domani saranno ben al di sotto di quello che oggi la Consulta chiama reddito adeguato.

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