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Questo articolo è stato pubblicato il 05 maggio 2012 alle ore 12:49.

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ROMA - È un'elezione diversa dalle altre. E non solo perché ci sarà l'affermazione di Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle. È un'elezione dove i partiti temono forse più il non voto, l'astensione e la diffidenza che la perdita di un municipio. Un'elezione dalla quale potrebbe arrivare la conferma del crepuscolo della Seconda Repubblica, del bipartitismo e di conseguenza delle forze politiche che ne sono state protagoniste, almeno così come le abbiamo conosciute fino ad oggi. Un esempio indicativo arriva anche dalla cronaca delle ultime ore: Angelino Alfano e Pier Luigi Bersani, i leader di Pdl e Pd, hanno chiuso la loro campagna elettorale in quelli che fino a poco tempo fa erano riteneuti loro feudi indiscussi e che invece adesso li vedono in affanno, costretti a rincorrere, non già gli avversari ma i loro alleati o ex alleati. È la prova inconfutabile della frammentazione di un sistema, che fino a poco tempo fà si reggeva sulla capacità dei due Poli di rappresentare gran parte del corpo elettorale.

Alfano ieri era infatti a Palermo per Massimo Costa, l'aspirante sindaco voluto dall'Udc, da Miccichè (e inizialmente anche dai finiani) e su cui il Pdl ha deciso di convergere solo in extremis. Bersani invece è salito sul palco di Genova accanto a Marco Doria, il vincitore delle primarie del centrosinistra, un indipendente appoggiato da Sel che, come già avvenuto con Pisapia a Milano , ha fatto piazza pulita delle candidate del Pd (il sindaco uscente Marta Vicenzi e la senatrice Roberta Pinotti). Ma il vero paradosso potrebbe arrivare con i ballottaggi.

Al momento l'unica grande città, da cui già lunedì potrebbe uscire il sindaco, è Verona con il leghista Flavio Tosi. Negli altri comuni potremmo invece assistere a sfide inedite o quasi. A Palermo il Pd (come avvenne a Napoli con De Magistris) potrebbe essere costretto ad appoggiare la "sorpresa" Orlando qualora il suo candidato, Fabrizio Ferrandelli, non dovesse farcela, così come a Genova il Pdl, che corre con Luigi Vinai, potrebbe obtorto collo dover optare al secondo turno per il terzopolista Enrico Musso. Se così sarà, per i due maggiori partiti sarebbe comunque una sconfitta politica, a prescindere da chi poi si aggiudicherà la guida di questo o quel municipio. Una sconfitta che decreterebbe la fine del bipartitismoÈ l'obiettivo principale di Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini, e di chi punta a ritagliarsi il ruolo del terzo incomodo, sparigliando le carte ai vecchi mazzieri.

Silvio Berlusconi, fiutata l'aria, s'è tenuto non a caso distante. Lunedì sarà a Mosca da Putin mentre a Roma non si è ancora deciso se allestire o meno la sala stampa per commentare i risultati elettorali. Si teme la debacle. Nel Pdl l'obiettivo al momento è di ottenere la vittoria in 8 capoluoghi: Asti, Gorizia, forse Como, Lecce, Trani, Isernia, Catanzaro e Trapani. La fine dell'alleanza con la Lega riduce infatti al lumicino le speranze del partito, che paga anche l'impopolarità del governo Monti presso il suo elettorato. I falchi hanno ripreso quota e stavolta tra le loro fila non ci sono solo gli ex An. Alfano stesso è in difficoltà. Il segretario del Pdl continua a ripetere che non farà mancare l'appoggio a Monti ma a giorni alterni lancia avvertimenti al premier per prenderne le distanze. Lo stesso fa il Cavaliere. Nasce da questo quotidiano ondeggiare il fan club dell'«appoggio esterno». Una definizione sbagliata, visto che non essendoci ministri politici tutti i partiti della «strana maggioranza» al momento stanno dando un appoggio esterno. Ma senza stare troppo a sottilizzare, la tesi è quella espressa dal piemontese Guido Crosetto: «Votiamo solo quello che condividiamo e sul resto ci asteniamo».

È un'opzione che sarà al centro delle riunioni subito dopo le amministrative. Ma che ha anche diverse controindicazioni. La prevalenza della linea dura farà scattare anche il Pd. Bersani finora è riuscito a mantenere il partito sulla sua linea ma se il Pdl dovesse smarcarsi non potrà rimanere a guardare. E poi c'è Casini. L'antimontismo del Pdl manderà definitivamente in soffitta la possibile riunificazione dei moderati. Un'eventualità che a dire il vero non spiacerebbe a chi nel Pdl che teme la virata al centro del partito.

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