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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2012 alle ore 10:50.

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Dimenticate l'Atene di Platone e Aristotele, la Francia di Cartesio o la Germania di Hegel e Schopenhauer. La vera patria della filosofia è un'altra: l'America del ventunesimo secolo. Le ragioni? «L'apertura al dialogo, la quantità delle argomentazioni, la varietà dei punti di vista, la sfrontatezza con cui ogni cittadino esprime la propria opinione, la vastità delle libertà sancite dal primo emendamento, l'intensità della ricerca di evidenza e informazioni, il diffuso rifiuto di verità imposte dalla autorità o dalla sola tradizione, la resistenza di fronte alle false giustificazioni o legittimazioni, l'abbraccio alla comunicazione in rete con un'alacrità che intimidisce il mondo intero: tutto corrobora questo fatto».

È la tesi di America The Philosophical (Knopf, 2012), saggio del giornalista e docente di filosofia Carlin Romano: «Quella americana si staglia come la cultura più filosofica nella storia del mondo, un mercato della verità e dell'argomentazione senza precedenti, sorpassa qualsiasi altro posto nell'arco degli ultimi tremila anni».

In quale altro Paese un wrestler abbandonerebbe il ring per darsi allo studio di metafisica e etica applicata? Negli Usa è successo: Nick Baines nel 2007 ha lasciato la lotta per iscriversi alla facoltà di Filosofia della University of Northern Iowa (c'era un illustre precedente: analoga carriera aveva fatto Platone, che doveva addirittura il nome all'ampiezza delle sua spalle e alla fama guadagnata praticando la lotta nei giochi dell'Istmo, stando a quanto riporta Diogene Laerzio). Dove può accadere che una super modella come Lauren Hutton dichiari di avere come punto di riferimento la discussa pensatrice femminista Camille Paglia? Solo negli States. Casi isolati? Secondo Romano non è così. I talk show che riempiono i palinsesti televisivi sono i dialoghi platonici del nostro tempo, Jon Stewart è il nostro Socrate. E anche quando gli americani prendono in giro la filosofia, come spesso fanno, in realtà la prendono sul serio. «Negli Stati Uniti il gioco della mente è forse la sola forma di gioco a non essere guardata con tenera indulgenza» scriveva Richard Hofstadter in Anti-Intellectualism in American Life (1963). Eppure sarebbe sbagliato confondere la presa in gira della filosofia con il disprezzo di essa, e prenderlo come prova di una cultura antifilosofica.

«È uno dei tipici errori che gli intellettuali commettono quando cercano di comprendere gli Usa», scrive Romano. Aristofane dileggiava Socrate e gli altri pensatori dell'agorà nelle Nuvole: forse per questo le Grecia del quinto secolo era terra meno fertile per il pensiero? «L'irriverenza americana non è un attacco alla cultura filosofica, ne è anzi una genuina incarnazione», scrive Romano. Esaltare l'America come la cultura più filosofica del mondo non significa soltanto ricordare come i filosofi americani abbiano influenzato la vita quotidiana – con esempi illustri come Emerson, Dewey, James, Rawls, Posner, Danto. L'America è filosofica per molto più di questo. Basta pensare al boom dell'etica applicata: negli ultimi trent'anni i filosofi americani sono entrati nelle corporation, negli ospedali, nelle carceri, nell'amministrazione pubblica.

E potremmo notare anche che di vertici di Google c'è Damon Horowitz, con l'incarico, inesistente altrove, dell'in-house philosopher. Se consideriamo i più grandi successi del web 2.0, hanno tutti all'origine un filosofo: Peter Thiel, tra i fondatori di Facebook, Larry Sanger, cofondatore di Wikipedia, Reid Hoffman, inventore di LinkedIn. Hanno tutti in comune la stessa formazione accademica. Romano conferma: «Internet, i blog, i social network hanno intensificato la già vibrante realtà filosofica americana», scrive nel capitolo intitolato Gutenberg's Revenge: The Explosion of Cyberphilosophy e sottolinea come sia emerso un nuovo genere di filosofia, ovviamente dominato dagli americani, il cui intento è portare gli effetti della rivoluzione digitale nelle aree tradizionali della cultura, come religione e letteratura.

«Non dobbiamo confinare la filosofia nei feudi accademici, nei dipartimenti che espongono l'insegna "Filosofia"», scrive Romano. «Chi fa così è come chi crede che bisogna lasciare la politica ai politici e le passioni ai ragazzi sotto i 30 anni». Tocqueville scriveva all'inizio del secondo libro de La democrazia in America: «Credo che non esista nel mondo civile un Paese in cui ci si occupi meno di filosofia che negli Stati Uniti». Romano è di tutt'altro parere: «L'America è per la filosofia ciò che l'Italia è per l'arte o la Norvegia per lo sci: un ambiente perfetto per far pratica».

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