Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 06:43.

My24


L'amministrazione finanziaria è tenuta a dimostrare l'esterovestizione provando che la sede estera è artificiosa e non corrisponde a una concreta realtà economica. A precisarlo è la Ctp di Macerata con la sentenza 85/2/2013.
Il contenzioso riguarda una società italiana che ha acquistato il 100% delle quote di una compagine rumena. Il progetto era finalizzato a ottenere economie di scala oltre che - in prospettiva futura - un'autonoma unità produttiva per alcune lavorazioni. Ma, nell'ambito di un controllo, l'amministrazione finanziaria ha ritenuto che l'impresa rumena fosse in realtà una società esterovestita, creata solo per ottenere benefici fiscali. In particolare ha evidenziato che il legale rappresentante oltre a essere di nazionalità italiana era anche residente nel nostro Paese. A sostegno della propria tesi, il Fisco ha sottolineato che le spese di viaggio di quest'ultimo erano sostenute interamente dalla società italiana e regolarmente contabilizzate. In pratica – ad avviso dell'ufficio - l'impresa estera mascherava in realtà una società di fatto tra soggetti italiani, considerati «i veri portatori di interessi nonché effettivi amministratori» della stessa.
L'accertamento ha richiamato l'aricolo 73, comma 3, del Tuir secondo cui «ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell'amministrazione o l'oggetto principale nel territorio dello Stato».
La contribuente ha presentato ricorso in Ctp. In primo luogo, ha evidenziato che l'ufficio non ha adempiuto all'assolvimento dell'onere probatorio gravante sullo stesso. In secondo luogo, ha rilevato attraverso la documentazione presentata che la società rumena svolgeva concretamente la propria attività, tanto più che era costituita e operava fin dal 1995.
I giudici hanno accolto il ricorso e non hanno riconosciuto l'esterovestizione precisando in misura puntuale il significato della norma. Nel richiamare i principi affermati a riguardo dalla Suprema corte, il collegio ha precisato che l' esterovestizione rientra nel più ampio concetto di abuso del diritto, concludendo che è necessario accertare se l'operazione posta in essere sia artificiosa e non produttiva di una «corrispondente e genuina realtà economica». Così ha ritenuto che l'impresa estera non era finalizzata soltanto all'ottenimento di vantaggi fiscali, ma che si trattava di una società funzionate ancora prima dell'accadimento delle operazioni contestate.
Dalla documentazione prodotta è emerso che esistevano un atto costitutivo, bilanci, dichiarazioni fiscali presentate alle autorità fiscali locali, contratti commerciali, buste paga. Di conseguenza la società - nonostante l'amministratore italiano – era perfettamente operante in Romania e quindi è risultata del tutto infondata la presunzione di esterovestizione a suo carico.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi