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Questo articolo è stato pubblicato il 09 maggio 2014 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:30.

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(LaPresse)(LaPresse)

Non è ancora il momento giusto per l'eventuale ed ulteriore espansione della politica monetaria della Banca centrale europea (Bce); quando si ha una sola pallottola d'argento, bisogna aspettare il momento giusto per spararla. È questo il messaggio che ieri Mario Draghi ha mandato: finora i rischi di instabilità, che partono dalle incertezze geopolitiche, passano dal tasso di cambio, ed arrivano al basso livello di inflazione, non sono ancora rilevanti; si attenderà giugno. Quando - non dimentichiamolo - saranno anche passate le elezioni europee, con le relative pressioni speculari delle colombe - francesi e non solo - e dei falchi - tedeschi e non solo.

Alla vigilia delle decisioni della Bce sull'orientamento della politica monetaria europea, si erano accentuate le pressioni affinché la nostra banca centrale rinforzasse ulteriormente il proprio atteggiamento espansivo, attraverso azioni convenzionali e non convenzionali. Tali pressioni erano e sono motivate dal constatare la presenza contemporanea di una crescita economica ancora anemica, un basso livello di inflazione ed un tasso di cambio rivalutato rispetto al dollaro. In una situazione normale, questo «antipatico terzetto» può essere affrontato con una politica monetaria espansiva: una riduzione dei tassi, comunque ottenuta, si riverbera in migliori condizioni di credito per l'economia, stimolando la crescita, ed allo stesso tempo ammorbidisce il tasso di cambio, senza pericolosi contraccolpi sul tasso di inflazione.

Ma ieri Draghi ha voluto ricordare che non siamo affatto in condizioni normali, a partire dal quadro economico. Innanzitutto, ci sono oggi due focolai che provocano instabilità finanziaria.

Da un lato, le vicende geopolitiche legate alla crisi ucraina hanno provocato movimenti di capitale verso l'Unione Europea. Dall'altro lato, la politica monetaria statunitense ha iniziato un processo di cambiamento del proprio orientamento di politica monetaria, caratterizzato dal fatto di essere non lineare e incoerente nel suo sviluppo.

La Fed ha per un verso annunziato una strategia di uscita dalla ultra espansione monetaria iniziata nel 2008, ma confermando per altro verso tassi di interesse nulli per un tempo indefinito. Inoltre ha prima fissato dei traguardi macroeconomici in termini di inflazione e disoccupazione, ma poi li ha eliminati. Gli annunci opachi e volatili sono la politica peggiore che una banca centrale possa mettere in atto. L'effetto più visibile è stato un aumento dei movimenti di capitali in uscita dai Paesi emergenti, che si sono indirizzati anche verso l'Unione.

Gli afflussi di capitali provocati dai due focolai di instabilità esterni all'Unione stanno accentuando l'apprezzamento della nostra valuta. L'apprezzamento dell'euro fa cadere i prezzi delle materie prime ed alimentari, spingendo verso il basso il tasso di inflazione.
La domanda cruciale è allora: quale è la rilevanza dei due shock finanziari? Se gli shock sono permanenti, la banca centrale deve intervenire. Ma gli shock sono temporanei, modificare la politica monetaria può essere un grave errore: una azione ultra espansiva della Bce confermerebbe un rischio deflazione, invece inesistente. Ma la conferma sarebbe benzina destabilizzante sulle aspettative. Le buone intenzioni della Bce avrebbero conseguenze negative, destabilizzando quelle aspettative che invece - lo ha ribadito con forza Draghi - sono oggi ancora ben ancorate.

La politica delle aspettative rappresenta il meccanismo cruciale per governare la trasmissione della politica monetaria, soprattutto in una fase storica come questa, in cui una profonda recessione economica ha seguito una grave crisi finanziaria. Il mix tra crisi finanziaria sistemica e recessione economica - chiamiamola recessione sistemica - è micidiale. Guardando alla storia, le recessioni sistemiche hanno finora colpito in 63 casi Paesi avanzati ed in 37 casi Paesi emergenti. Tra le 35 peggiori recessioni sistemiche, sono già entrate in classifica cinque casi della recente crisi: Grecia, Irlanda, Islanda, Italia e Ucraina. Inoltre, quando la crisi è grave, nel 66% dei casi vi è una ricaduta recessiva. Dunque durante una recessione sistemica - come l'attuale - il meccanismo delle aspettative rischia di essere particolarmente delicato. Sbagliare il messaggio di politica monetaria può essere molto dannoso. L'annuncio di politica monetaria diventa una pallottola d'argento; non va sprecata.

Dunque, per la Bce aspettare nuovi dati per capire la natura degli shock diventa la scelta più saggia. Se ne riparla a giugno. Anche perché per allora saranno passate pure le elezioni europee. Una politica ultra espansiva della Bce decisa in maggio avrebbe effetti politico elettorali che in aggregato sono assai difficili da prevedere. Da un lato, le pressioni a una ulteriore espansione monetaria sono continue ed esplicite, sia da esponenti di governi nazionali, che da formazioni politiche con un tasso di populismo variabile, ma tendente al medio-alto. Dall'altro lato, è altrettanto nota la diffusa ostilità della maggioranza di politici e cittadini in diversi Paesi dell'Unione nei confronti del lassismo monetario. Draghi ieri ha ricordato che la Bce è indipendente. Il che significa, tra l'altro, evitare che la gestione della politica monetaria venga inquinata da interessi particolari e di breve periodo, legati al ciclo elettorale. Per cui, quando le pressioni della politica sono forti e contrapposte, e in assenza di segnali forti dall'economia, l'essere indipendente può coincidere con il posticipare le decisioni. Così come ha fatto la Bce.

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