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Questo articolo è stato pubblicato il 23 aprile 2014 alle ore 07:26.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:15.

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Abbiamo chiesto a Luigi Zingales di raccontarci le ragioni e la nascita del suo libro Europa o no - Sogno da realizzare o incubo da cui uscire (Rizzoli, pp. 215) nelle librerie da domani.
Qualche anno fa un influente banchiere mi disse: «Noi italiani siamo incapaci di governarci. Dobbiamo farci governare dalla Merkel». In una forma o un'altra questo concetto è diffuso, soprattutto tra la cosiddetta élite economica del nostro Paese.

È un concetto con radici profonde nella nostra storia. Dal desiderio del podestà forestiero, all'entusiasmo con cui le intellighenzie milanese e napoletana festeggiavano l'arrivo di Napoleone nella nostra penisola. È alla base di molto dell'europeismo nostrano, che si fonda su di un semplice ragionamento: una media tra le nostre istituzioni e quelle del Nord Europa non può che beneficiarci.
A fronte di questo europeismo di élite, c'è sempre stato un nazionalismo straccione. Dal Masaniello alle truppe del Cardinale Ruffo che soppressero nel sangue la Rivoluzione Napoletana del 1799, un popolo oppresso e spesso ignorante ha dimostrato un attaccamento ossessivo non solo al proprio campanile, ma anche alle istituzioni esistenti. Non per amore, ma per mancanza di fiducia che un cambiamento potesse portare un mondo migliore. L'odio contro lo straniero era principalmente un odio contro quella élite economica nostrana che ricorreva allo straniero per governare e mantenere i propri privilegi.
Fino a poco tempo fa, questi sentimenti antieuropeisti sono rimasti per lo più inespressi a livello politico. Quando l'Europa era un'aspirazione che non impattava la nostra vita quotidiana, l'80% degli italiani la sosteneva senza capirla. Oggi, quando solo il 25% degli italiani ha fiducia nell'Europa, l'attrattiva elettorale delle posizioni antieuropeiste è troppo forte per non essere cavalcata. Finora l'euroscetticismo è stato limitato ai partiti anti-establishment (Movimento 5 Stelle e Lega). Ma la tentazione è forte anche per Berlusconi. Se non ci fossero i suoi consulenti a ricordargli quanto le sue aziende perderebbe in caso di uscita dall'euro, a mio avviso si sarebbe già buttato a capofitto nella campagna anti euro.

Questo crescente antieuropeismo è colpa di chi, come l'influente banchiere, ha usato l'Europa in Italia come molti cattivi genitori usavano (spero la pratica sia svanita) lo spauracchio dell'uomo nero per spaventare i figli e costringerli a fare il loro dovere. Così come i bambini cresciuti con tale spauracchio diventano adulti razzisti, l'uso strategico dell'Europa per costringere l'Italia a delle scelte necessarie, ha reso gli italiani antieuropeisti.
L'unica cosa che accomuna europeisti ed antieuropeisti è la mancanza di un ragionamento serio sui costi e i benefici della scelta europea, in particolare della moneta unica. Gli europeisti presentano la scelta sempre nei termini di «o più Europa o caos». Gli antieuropeisti, invece, vedono nell'euro una corona di spine imposta sul capo degli italiani. Pur riconoscendo ragioni ad entrambi i campi, non mi riconosco nei termini del dibattito: un dibattito che può essere cruciale per il futuro dell'Italia e dell'Europa. Per questo ho sentito l'esigenza di spiegare le scelte che ci troviamo a dover fare. L'idea di un libro sull'Europa è nata dalla frustrazione nel leggere come le mie stesse dichiarazioni sull'argomento venivano interpretate ed in alcuni case manipolate. Mi sono reso conto che la complessità del problema rendeva difficile sintetizzare tutto in una battuta. Non per questo i pro e i contro dovevano essere offuscate da formule complicate ed astrusi modelli.

La scelta euro o non euro non influisce solo sulla dimensione della torta economica che siamo in grado di produrre, ma determina anche chi si appropria della fetta più grossa di questa torta. È, quindi, una scelta politica, non solo economica. Affinché questa scelta sia fatta in modo consapevole è necessario che i termini dell'alternativa siano compresi da tutti. Questo è lo scopo del mio "Europa o no": cerco di spiegare gli errori fatti nel processo di integrazione europea ed i costi e benefici delle opzioni future. Ma soprattutto cerco di cambiare i termini del dibattito. Non "Europa si', Europa no," ma quale Europa e soprattutto quale Italia vogliamo. All'idea prevalente di Europa: centralistica e totalizzante, oppongo l'idea di una comunità di nazioni indipendenti, che ci aiuti a gestire i problemi di un mondo globalizzato, ma non snaturi la nostra identità culturale. Alla dicotomia: euro- no euro, oppongo l'immagine di un euro diverso o di un euro del nord ed uno del sud.
Esiste anche un pericoloso deficit democratico che affligge l'Europa. Fu il despotismo degli spagnoli a creare lo spazio per Masaniello. Fu l'astratto illuminismo dei giacobini napoletani a condannare alla disfatta la loro rivoluzione. Come scriveva giustamente Vincenzo Cuoco, che di quella rivoluzione fu prima protagonista poi acuto critico: «La rivoluzione di Francia s'intendeva da pochi, da pochissimi si approvava, quasi nessuno la desiderava; e, se vi era taluno che la desiderasse, la desiderava invano, perché una rivoluzione non si può fare senza il popolo». Questo è il vizio di fondo dell'attuale progetto europeo. Il tentativo di creare una nazione senza il consenso popolare. Mi auguro che il mio libro possa essere il primo passo verso un progetto europeo alternativo: un'Europa per la gente.

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