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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2013 alle ore 06:37.

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Pronti a vendere almeno il 10% di Montepaschi. La Fondazione Mps, azionista di maggioranza relativa (34,9%) del gruppo senese, si prepara a cedere un consistente pacchetto di titoli per fare cassa e rimborsare l'ultima parte d'indebitamento (350 milioni) che ancora la vede esposta nei confronti di un pool d'istituti di credito di cui è capofila JpMorgan.

L'obiettivo è indicato dal documento programmatico 2013 che l'Ente presieduto da Gabriello Mancini renderà noto nei prossimi giorni, insieme alla previsione per quanto riguarda le erogazioni dell'anno in corso, sicuramente molto inferiori ai 21 milioni del 2012, lontano anni luce dai 197 milioni distribuiti nel 2007, in quello che è risultato l'esercizio "fatale" per il sistema Fondazione-Banca Mps, con lo sciagurato acquisto di Antonveneta per 9,3 miliardi da parte di Rocca Salimbeni, su cui adesso sta andagando la magistratura.
I tecnici di Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione senese, hanno gli occhi puntati sulle quotazioni di Borsa: appena il titolo Montepaschi tornerà sopra i 30 centesimi (ieri ha chiuso in rialzo dello 0,65% a 0,26 euro), il dossier "azzeramento del debito" diventerà operativo, attraverso un frazionamento del pacchetto in vendita, come è stato fatto nel corso del 2012 con l'ingresso della famiglia Aleotti tra i soci forti di Rocca Salimbeni (4% acquistato a 0,37 euro).

Dopo l'ultima svalutazione, relativa al bilancio 2011, la Fondazione ha in carico le azioni Mps a 0,36 euro e, con una capitalizzazione del gruppo intorno o sopra i 3,5 miliardi, vendendo il 10% potrebbe chiudere l'esposizione debitoria, a fronte della quale attualmente ha dato in pegno la quasi totalità dei titoli posseduti (33,5%). Una scelta inevitabile e destinata a ripetersi ancora, quella di scendere nell'azionariato di Banca Mps. Nel futuro prossimo del gruppo di Rocca Salimbeni c'è infatti un aumento di capitale da un miliardo con esclusione del diritto d'opzione, come ha ricordato il presidente Alessandro Profumo (vedere il Sole 24 Ore di domenica scorsa).
Profumo ha rivelato anche di pensare a un «socio finanziario di lungo termine», dunque non un'altra banca e neppure un partner industriale com'è Axa (titolare del 3,7% di Mps), ma più probabilmente un fondo d'investimento italiano o straniero con cui condividere una strategia di rilancio svincolata dai condizionamenti della politica locale e nazionale (spesso, nel passato, in conflitto tra loro). Questo aumento da un miliardo, che sempre Profumo ha spiegato dovrà essere preceduto dalla riscrittura dello statuto della banca (per togliere il tetto del 4% al diritto di voto), porterà fatalmente la Fondazione sotto la soglia del 20% nel capitale di Rocca Salimbeni. Entro il 2015.

In fondo al precipizio in cui è caduto il terzo gruppo bancario del Paese, costretto a ricorrere agli aiuti di Stato per 3,9 miliardi (i Monti bond saranno sottoscritti dal ministero dell'Economia e potranno arrivare fino a 4,5 miliardi), c'è dunque la "normalizzazione" della Fondazione Mps, finora unico tra i grandi Enti di origine bancaria ad aver mantenuto il controllo sull'azienda di credito.
«È in atto un regolamento di conti all'interno di una vicenda della quale sono già del tutto evidenti le responsabilità politiche», ha dichiarato alla Newsletter del Gruppo dei Centouno l'ex vice presidente di Montepaschi (dal '92 al '97) e ex sindaco di Siena (dall'83 al '90), Vittorio Mazzoni Della Stella. «Una banca tra le più solide è stata spolpata sistematicamente e usata per alimentare quel potere che è lo stesso che poi decide sugli assetti dei vertici bancari».
Per Mazzoni Della Stella, insomma, «i derivati sono una questione marginale. Prima che si vendessero l'argenteria – confida – quelle perdite sarebbero state al massimo come togliere un pelo a un bove». Il latte della mucca senese è invece finito. E la Fondazione, così come la banca, deve immaginarsi un futuro diverso.

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