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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2012 alle ore 16:18.

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Il principe Nayef (Reuters)Il principe Nayef (Reuters)

È morto il principe ereditario saudita, Nayef bin Abdul-Aziz al-Saud, fratellastro di re Abdullah. Lo ha riferito un comunicato di Casa Reale secondo cui il principe Nayef, 79 anni, «è spirato al di fuori del Regno». Nayef era vicepremier e dal 1975 ministro dell'Interno nonché primo nella linea di successione al trono del regno wahabita. Di recente l'anziano erede al trono si era recato all'estero per sottoporsi a non meglio precisate terapie mediche. Era più giovane di 9 anni rispetto al sovrano in carica, il cui fratello di sangue Sultan era deceduto lo scorso 22 ottobre, cedendo appunto allo stesso Nayef il titolo di Principe Corona.

Stando al quotidiano al-Riad, Nayef sarebbe morto a Ginevra, in Svizzera, dove aveva una residenza. Nessuna indiscrezione, tuttavia, sulla malattia dalla quale sarebbe strato affetto lo scomparso. Tutti i mass media sauditi alla notizia hanno immediatamente interrotto la normale programmazione per trasmettere al suo posto la recita di "sure" del Corano sullo sfondo di immagini della Mecca: è nella Grande Moschea della principale città santa dell'Islam che domani pomeriggio si terrà una «preghiera per l'anima» del defunto principe, è stato reso noto. Subito dopo, come da tradizione musulmana, seguirà la sepoltura.

Nayef era considerato un membro della corrente più conservatrice all'interno della Famiglia Reale e delle istituzioni, e un seguace convinto del wahabismo, l'interpretazione più severa e rigorosa delle prescrizioni coraniche, in adesione alla quale si era sempre opposto anche alle più limitate riforme: dunque, non solo alle elezioni generali, ma persino alla concessione della patente di guida alle donne.

Da ciò era scaturita la leggenda, forse non del tutto infondata, di un atteggiamento sostanzialmente anti-occidentale: ma era anche un pragmatico, e dunque sempre disposto ad allacciare e a intrattenere rapporti con qualunque governo, e non solo, la cui alleanza potesse essere positiva per Riad. Il suo motto pare fosse «No al cambiamento, sì allo sviluppo».

Non a caso, oltre a difendere a spada tratta gli interessi petroliferi nazionali, si adoperò per un deciso ammodernamento della macchina militare saudita, coltivando affari fruttuosi anche per i partner, pur di essere in grado di fronteggiare quella che giudicava la peggiore minaccia per la stabilità del Paese: al-Qaeda, di cui stroncò con feroce determinazione ogni seppur timido tentativo di alzare la testa in patria. Specie nel corso del quadriennio 2003-2006, durante il quale reagì da par suo alle accuse americane di non aver assunto una posizione sufficientemente forte nei confronti dell'estremismo, neppure dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York e a Washington.

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